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Nel cuore della Prossimità

di Dino Barbarossa

L’unica cosa certa è che saremo giudicati sull’amore e che è ancora tanta la strada da fare, perché l’amore non può essere lasciato allo spontaneismo, all’emozione del momento, ha bisogno di essere alimentato. Cosa vuol dire essere “nel cuore della prossimità”? Stare accanto alle persone più fragili, costruire con loro dei percorsi di recupero della dignità perduta rigenerando la speranza e aiutandoli a ricostruire la loro vita frammentata. Come si fa? Non può essere un’idea “prestazionale”, non si può concepire come un “dare qualcosa a qualcuno”, non può basarsi su una differenza di posizione sociale fra me e te. “Prossimità” ci conduce oltre qualunque idea di welfare, vuol dire che quella persona – il “prossimo”- ti entra nel cuore e non può più uscirne, neanche se dovesse deluderti profondamente. Nel cuore della “prossimità” al centro c’è l’uomo, la famiglia, i suoi bisogni e le sue capacità e le sue fatiche ed insieme la mia responsabilità. Si, perché la povertà materiale, morale, culturale, sociale, dipende dalle scelte che hanno costruito una società a scalini ed hanno posto alcuni in alto ed altri in basso. Una realtà che contrasta pesantemente il principio di egualità e di dignità che è all’origine della vita. Ci sono nel mondo milioni di persone che non hanno mai avuto la possibilità di costruire la loro vita in maniera dignitosa e che si sono abbrutite, perché poste in luoghi disumani, dentro recinti bestiali, in un coacervo di relazioni devianti.

Spesso mi trovo a dire che è importante capire le persone vivendo come loro, ponendosi con verità dalla loro parte, non giudicando ma abbracciando la loro situazione e le loro convinzioni, costruendo un rapporto di stima e di fiducia.

Ecco, stima e fiducia sono le parole chiave della Prossimità, fondano il credere che la persona, avendo la giusta dignità, porta avanti percorsi di bene comune.

Persona, non utente, paziente, disabile, immigrato,…solo Persona a cui stare accanto, accogliendo, ascoltando, accompagnando…sono le tre “A” della Prossimità. Se incontri una persona in stato di bisogno e ti limiti a risolverlo, senza accogliere il suo bisogno più profondo di relazione, non cambia niente né nella vita di quella persona, né nella tua.

Se scegli di accogliere, ascoltare, accompagnare, si crea quella relazione di stima e di fiducia che cambia l’esistenza di entrambi.

Si tratta di un processo di economia circolare, un concetto che solitamente appartiene al ciclo dei rifiuti: pensiamo a tutte quelle persone che la società emargina, scarta, colloca ai margini, e che attraverso un percorso di vicinanza, di accompagnamento diventano nuovamente protagoniste della propria vita e della società stessa.

Siamo dentro una società fortemente inquinata, disumana, indifferente. Costruiamo ogni giorno una realtà fittizia con benessere effimero e un distacco sempre più alimentato dal disinteresse. Tutto ciò che mi dà fastidio, lo devo eliminare, è un pensiero comune perché ognuno di noi tende a costruisce un mondo virtuale ben diverso da quello reale, senza confronto. Sicuramente molto più rassicurante, ma finto: “vedo solo quello che voglio vedere”. Per questo stare nel “Cuore della prossimità” è un’impresa fuori dal comune, davvero è orientata al bene comune, dentro cui c’è anche il mio bene.

Spesso mi capita di dire a “chi comanda” o pensa di farlo, che prima o dopo avrà bisogno del sostegno altrui e solo in quel momento capirà quanti momenti ha perduto nei quali avrebbe potuto costruire un mondo migliore, una migliore relazione con le altre persone, con il prossimo.

Il risultato della prossimità è nel continuare a mantenere vivo un legame, che continua nel tempo e non solo quando c’è bisogno, perché cambia il cuore delle persone.

Il bene è contagioso, genera bene, non servono muri né barriere. Basterebbe prenderne coscienza, perché «questi confini che stiamo costruendo con le persone presto diventeranno muri invalicabili, un’incapacità di produrre: tutto ciò che va via perché è mancata un’equa distribuzione delle risorse, impoverisce».

Un processo che porta ad essere indifferenti nei confronti delle tante persone che incontriamo per strada e che vediamo dormire sotto un ponte, chiedere l’elemosina. La povertà è una realtà che ad un certo punto ci dà persino fastidio, perché sono tante, e sono sempre di più. «Non ci rendiamo conto che il povero è il prodotto della nostra indifferenza» e vogliamo rimuoverlo. Invece dobbiamo affrontarlo ed affiancarlo, dividendo con lui il nostro cammino.

C’è allora un grande spazio per la “prossimità”, anche perché c’è del bene nel cuore di ogni uomo, anche di quello che appare più distante dal battito del cuore.

La “prossimità” è ciò che può superare ogni elucubrazione su come sarà il welfare di domani, perché nella relazione fra le persone è insita ogni soluzione ai bisogni delle stesse.

Se la persona incontri chi gli da fiducia, non ha più bisogno di altro.


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