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La Prossimità è una cosa seria

di Dino Barbarossa

Ormai da 30 anni mi occupo delle tante povertà morali e materiali che incontro ed ho pensato, ascoltato, promosso, sperimentato, vissuto tante piste di impegno perché migliorassero le condizioni di chi è povero e si riducessero le diseguaglianze con coloro che possiedono tante ricchezze.

Non sono certo di aver inciso sul “sistema”, ma ho cercato di agire concretamente e coerentemente per rimuovere le cause che determinano povertà ed esclusione sociale.

Per capire meglio, ho sperimentato la povertà e la precarietà e poi ho scelto – grazie all’incontro con don Oreste Benzi – la condivisione diretta con i poveri

Condivisione che scaturisce dalla consapevolezza del mistero del "Povero": Gesù che era ricco e si è fatto povero per farci diventare ricchi con lo. sua povertà (2 COI. 8,9). Così, come lui, noi cerchiamo di farci poveri dei nostri privilegi, della nostra posizione sociale, della nostra cultura, della nostra posizione economica, del nostro benessere, delle possibilità che la nostra vita avrebbe di riuscita in questo mondo. Ci facciamo poveri di tutte queste cose perché i poveri si arricchiscano di questo nostro impoverimento, ma nello stesso tempo noi ci facciamo ricchi della loro povertà, del loro essere poveri, cioè di tutta la ricchezza che essi, proprio in quanto poveri, portano ancora avanti nell'umanità e nella loro genuinità profonda (don Oreste Benzi).

Questa è stata l’altra chiave di comprensione: vivendo con il povero, si apre una reciprocità nella relazione di aiuto, si entra nel “Cuore della prossimità”.

Già, la Prossimità: ho capito che andando oltre il “servizio”, la “prestazione”, la “cura” potevo stare accanto alle persone più fragili, costruire con loro dei percorsi di recupero della dignità perduta rigenerando la speranza e aiutandoli a ricostruire la loro vita frammentata.

Prossimità indica Vicinanza, senza la Relazione e la Reciprocità non modifica le differenze di status fra chi si fa prossimo al povero.

Ma se si accetta il fatto che la persona con cui ti relazioni è una risorsa per te e non solo qualcuno da aiutare e sostenere, allora la Prossimità diventa Reciprocità e si riempie di nuovi significati, restituisce senso al principio di egualità e di dignità che è all’origine della vita. Per comprendere questo ho scelto uno sguardo diverso del povero, di pormi con verità dalla loro parte, non giudicando ma abbracciando la loro situazione e le loro convinzioni, costruendo un rapporto di stima e di fiducia.

Ecco, stima e fiducia sono le parole chiave della Prossimità, fondano il credere che la persona, avendo la giusta dignità, porta avanti percorsi di bene comune.

Nella logica della prossimità, il povero è il termine di paragone con cui ti confronti. Se esiste il povero, quel povero in cui ti imbatti camminando per la strada, se quel povero non sei tu, vuol dire che c’è qualcosa che non va nel modo in cui sono distribuite le ricchezze sulla terra.

Mi chiedo spesso: che merito c’è nel vivere in maniera agiata e che demerito c’è nel vivere miseramente. Soprattutto, perché c’è qualcuno circondato da tanta gente e c’è tanta gente in assoluta solitudine?

Siamo tutti dentro il perverso meccanismo secondo il quale la vita di una persona va “pesata” ed in base al “peso” ha un valore diverso.

L’antidoto alla solitudine è la Prossimità, perché la prossimità costringe alla relazione, con la prossimità nessuno è più solo. La prossimità sconfigge l’indifferenza e apre ad un modo nuovo di vedere chi incontri lungo la strada. Non vedi più uno sconosciuto, ma una persona. La guardi negli occhi ed in qualche modo ti specchi in quello sguardo.

È qualcosa di rivoluzionario, di diverso da quella indifferenza, che, paradossalmente, non è il contrario di differenza e però è la cifra della civiltà moderna, quella in cui camminiamo a testa in giù (ci vergogniamo o stiamo chattando) o a testa in su (siamo altezzosi o stiamo sognando). Comunque la mettiamo, non guardiamo più negli occhi nessuno, ma ci arroghiamo il diritto di indicare l’altro come diverso e quindi inferiore. L’indifferenza coinvolge il concetto di libertà, poiché nella condizione di disinteresse viene a mancare la volontà che decide la scelta.

Non è semplice vivere la “Prossimità”, anzi è un’impresa fuori dal comune, davvero è orientata al bene comune, dentro cui c’è anche il mio bene. Il bene è contagioso, genera bene, non servono muri né barriere. Basterebbe prenderne coscienza, perché «questi confini che stiamo costruendo con le persone presto diventeranno muri invalicabili, un’incapacità di produrre: tutto ciò che va via perché è mancata un’equa distribuzione delle risorse, impoverisce».

Un processo che porta ad essere indifferenti nei confronti delle tante persone che incontriamo per strada e che vediamo dormire sotto un ponte, chiedere l’elemosina. La povertà è una realtà che ad un certo punto ci dà persino fastidio, perché sono tante, e sono sempre di più. «Non ci rendiamo conto che il povero è il prodotto della nostra indifferenza» e vogliamo rimuoverlo. Invece dobbiamo affrontarlo ed affiancarlo, dividendo con lui il nostro cammino.

C’è allora un grande spazio per la “prossimità”, anche perché c’è del bene nel cuore di ogni uomo, anche di quello che appare più distante dal battito del cuore. Se la persona incontra chi gli da fiducia, non ha più bisogno di altro.

Può tutto questo incrociare un percorso professionale, un metodo, un modello che abbia davvero la “persona al centro”, che sappia creare uno spazio di accoglienza, ascolto, accompagnamento e produrre l’autonomia della persona?.

La mia scommessa, la scommessa intorno a cui è nata la Fondazione Ebbene, è questa, comporre un metodo e degli strumenti che consentano in modo accurato e professionale di essere operoso, attento, puntuale, generoso, professionale: caratteristiche che vanno al cuore della prossimità.

Non un “mestiere” dunque, bensì una scelta di crescere umanamente e professionalmente accanto a chi soffre e di portare insieme quella sofferenza, fino al suo superamento o, almeno, fino a renderla più lieve perché portata insieme.

In tanti mi hanno additato come un visionario, altrettanti mi hanno detto che “lo fanno già altri”: io mi sono concentrato sulla capacità peculiare del “mio” disegno di offrire una gamma ampia di servizi, con una presa in carico globale dell’intero nucleo familiare.

Nel modello che mi sta a cuore, che è nel cuore della prossimità, c’è una Comunità che si nutre di relazioni, che crea le condizioni perché si costruisca un circuito virtuoso nel quale nessuno resta escluso: chi interpreta questo modello e questo metodo è al centro della Comunità e connette le persone che la abitano, in modo che ciascuno abbia un suo compito, camminando con il suo passo.

Non solo servizi in risposta ad esigenze, ma anche momenti di aggregazione, tempi di riflessione, progetti costruiti insieme per migliorare gli spazi vitali della Comunità.

La migliore capacità dell’operatore del Centro di prossimità della Fondazione Ebbene è saper capire il dono di ogni persona e trasformarlo in energia vitale.

Rifletto da un po' di tempo sulla possibilità che i concetti dell’Economia circolare si applichino alle persone, particolarmente a quelle che l’Economia capitalistica ha posto ai margini. Nonostante la crescita inesorabile della povertà nel mondo e nonostante sia evidente l’iniquità dell’attuale sistema economico, sembra complicato operare in termini di circolarità e di rigenerazione se lo scarto della comunità è una persona.

Il nostro è un tempo in cui la dignità e i diritti della persona vengono “monetizzati”, prescindendo dalle ragioni per cui quella persona si trova ai margini e difficilmente si indicano strade che producano un cambiamento di vita e di relazioni. Questa “visione” di Welfare è destinata al fallimento, anzi è già fallita. E’ insostenibile per qualsiasi economia pubblica e incrementa la cultura dello scarto invece di combatterla, la rende strutturale.

Le esperienze di prossimità, unici veri antidoti alla crisi umanitaria in corso, indicano come serva sostituire la dimensione quantitativa con quella qualitativa e solo il recupero e il coinvolgimento delle persone più fragili può far germogliare il seme della generatività. Per ogni persona, essere protagonista della costruzione della propria vita, nonché assumersi responsabilità nel contesto familiare, comunitario e sociale costituisce una cosa profondamente diversa rispetto a ricevere quanto serve per sopravvivere come “assistito”.

La strategia è quella della circolarità e della mutualità attuata attraverso reti territoriali d’intervento che, mosse e promosse con e per i cittadini, mettono insieme tutte le opportunità che sinergicamente i cittadini, il privato sociale organizzato e le Istituzioni possono mettere in campo . Un meccanismo di “promozione dal basso” e diretto coinvolgimento dei beneficiari nelle azioni che possono rispondere ai loro bisogni.

La leva di questa strategia spesso è la Riqualificazione di luoghi “sensibili” con azioni di prossimità, che promuovono nuove forme di partecipazione civica e sensibilizzano i cittadini e le famiglie a diventare protagonisti del cambiamento, della rigenerazione dei luoghi che abitano.

Ogni persona diventa risorsa, in una logica economica in cui il moltiplicatore di benessere è esponenziale, non più aritmetico ma ritmato. È tempo di investire di nuovo sulle persone, sul vero “capitale sociale” delle Comunità, un investimento che si nutre di conoscenza e di fiducia, un’economia che rimette al centro le persone che da scarti diventano protagonisti di nuova vita.

Per fare questo bisogna scegliere di camminare insieme, investire nella relazione e impiantare semi di fiducia.

La Prossimità, insomma, è una cosa seria, forse davvero il metodo per contrastare la povertà. Per realizzarsi bisogna evitare che si riduca ad una carità erogativa e si trasformi in una relazione generativa.

Quello che ho compreso, ha avuto bisogno di un tempo di “svuotamento” da tutto ciò che era inutile, era “vanità” o “vanagloria”, era assenso e ossequio di persone benedicenti. Ho dovuto attraversare il deserto per vivere l’incontro, per vivere la prossimità e provare a condividerla, farla diventare metodo. Essere nel deserto vuol dire accorgersi di chi, ai lati della strada, è più disperato di noi, più solo di noi; vuol dire vivere la prossimità. Nel deserto, infatti, la prossimità è come più immediata, perché si comprende il bisogno di chi è più solo di noi” (card. Carlo Maria Martini)



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