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Se il virus cambia la storia

di Dino Barbarossa

In queste settimane in cui si succedono numeri sempre più alti di contagi, morti e, fortunatamente, guariti, l’oblò da cui guardiamo gli eventi, sempre più convinti dalle autorità pubbliche e dalla paura della necessità di restare in casa, accade ormai ogni giorno di sentire di un amico o conoscente che viene ricoverato in Ospedale o addirittura che muore a causa del coronavirus.

La consapevolezza che dalla lontana Cina, il virus è arrivato in Italia e poi è arrivato nella nostra Città, nel nostro quartiere, nel nostro condominio…a casa nostra, fa si che il Virus diventi la nostra storia e ci appartenga fino in fondo.

Comprendiamo meglio cosa voglia dire “stare in prima linea”, cosa abbia voluto dire affrontare l’epidemia nei primi giorni, come questo “schiaffo” sia arrivato improvviso e imprevisto.

Lo ha detto Papa Francesco durante il momento di preghiera e di affidamento dell’umanità al Signore Crocifisso “Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”.

Una cosa che questa esperienza ci ha insegnato è che davvero siamo tutti uguali, il virus non distingue per razza, sesso o religione e semmai colpisce i più fragili e indifesi fra gli uomini e può certamente capitare che colpisca anche me.

Se ci fate caso, questa vicenda non è dissimile da tutti gli altri eventi traumatici che attraversano la società di oggi,del resto quanto sta accadendo non è frutto del caso o della sfortuna, è un segno preciso dei tempi.

Abbiamo tale tracotanza da sentirci immuni, forse immortali, per cui nessuna disgrazia può capitare a noi. Ed anche quando accade, dopo un tempo di scuotimento, riprendiamo le nostre abitudini e le nostre storie.

Ma la tempesta – dice ancora il Papa– smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.

La vulnerabilità è forse oggi la nostra ultima possibilità di guarire da ogni virus

di superare questo tempo di resistenza con un’idea nuova della vita, con un nuovo approccio al prossimo, con la percezione più precisa che la vita è un dono e devo attraversarla ringraziando ogni giorno per questo dono e ricambiandolo con il dono della mia vita.

Penso che il virus che bussa alla mia porta, che vuole prendersi il mio corpo, che vuole allontanarmi dai miei affetti, dai miei amici, dai miei progetti, è disponibile ad una tregua, ma per farlo ha bisogno di essere sommerso dal mio senso della vita. E’ necessario che io possa ancora urlare che è il tempo della fraternità, è il tempo della cura del creato, è il tempo della prossimità.

Se il virus può diventare la mia storia, possiamo insieme scrivere una nuova storia

fatta di sofferenza e di attesa, fatta di dolore e di angoscia, ma proiettata verso la gioia piena e senza fine.

Se il virus diventa la mia storia, vorrei avere vicino chi mi tenga per mano e mi accarezzi dolcemente, perché vorrà dire che l’amore vince la morte.

Siamo già salvi, perché attraversando la sofferenza e il dolore, abbiamo visto la luce, vediamo la luce, quella dei nuovi abbracci e dei nuovi desideri.

Non sprechiamo questa possibilità, abbracciamo – ci dice ancora Papa Francesco– tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso, trovando il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà.


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