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La Cura

di Dino Barbarossa

La cura non è un concetto sanitario il cui beneficiario è un paziente, ma un concetto antropologico in cui si manifesta il bisogno di sostegno reciproco. È un passaggio fondamentale nella vita di ogni persona, da porzioni anche dolorose della vita stessa.

Devo dire che è una scoperta che si può fare quando la vita l'hai percorsa tutta, quando gli stati di vita li hai sperimentati tutti, quando comprende la vita che hai alle spalle è molta di più di quelli che hai davanti e, soprattutto , quando avverti che le energie sono sempre meno.

A nulla vale l'esempio di tanti che ti hanno preceduto, è uno di quei concetti che puoi includere separatamente con il tuo stesso esempio.

Eppure ho avuto la grazia di conoscere esempi luminosi di “care giver”, di “donatori di cure” e camminare al loro fianco, nutrendomi del loro esempio e della loro capacità di donarsi agli altri fino all'ultimo respiro, anche oltre l'ultimo respiro.

L'idea di cura si accompagna al senso stesso della vita e si fonda sulla pari dignità tra le persone, su un “piano di vita” che fornisce ad ogni persona – anche a quella apparentemente più inutile – di partecipare alla costruzione dell'umanità che cura se stessa perché si prende cura di ognuno.

Ogni persona ha bisogno di sentire di avere al proprio fianco un care giver e solo se la Comunità ha questa caratteristica può dirsi generativa, può avere un futuro.

Questo approccio rende utile ogni persona e attraversa le domande, le mette in relazione, le fa comunicare, trasferisce il sapere, i sentimenti, le virtù, le prove.

Aver pensato che la cura potesse diventare un compendio di prestazioni, in cui c'è una parte forte che gestisce la vita di una parte debole, ha stravolto l'equilibrio originario, ha stratificato un pensiero secondo il quale un tavolino si può “gestire” le vite altrui.

Questo concetto è trasferito progressivamente dal piano sociale, al piano economico e quello politico ed è diventato dominante e pervasivo, ci sono convinti tutti che per essere e fissare al sicuro, necessario mettersi al seguito di chi comanda ed emarginare chi è poco o nulla produttivo .

Utilizzare è il verbo che ormai è presente la cifra delle relazioni umane e per usare un dislivello tra le parti, qualcuno che usa e qualcun altro che viene usato.

Davvero oggi l'umanità è “malata” e noi ci sentiamo “sani” e per convincerci di ciò rendiamo invisibili tutti coloro che potrebbero ricordarci quanti scarti stiamo producendo, scarti di materia e scarti umani.

Con la forza del potere e del denaro si ottiene tutto, si manipola tutto, si condiziona tutto. Penso che un mondo così non abbia futuro, sia destinato all'estinzione. Dopo il Covid19 lo consideriamo tanti, eppure sembra non cambiare nulla, ci sentiamo più sicuri e appagati se possiamo gestire la nostra vita, non preoccupandoci affatto della vita altrui.

Al massimo livello, "un'alternativa è l'egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle esigenze"; e insieme a questo c'è il «pericolo di dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell'egoismo indifferente. Quel che sta accadendo ci scuota dentro e tutti si riconoscano parte di parte famiglia e si sostengono a vicenda. È tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l'ingiustizia che mina alla radice il saluto dell'intera umanità! ». (Papa Francesco)

Eppure ci siamo allarmati, emozionati, inclusi quando siamo stati privati ​​del contatto umano, quando siamo stati separati dai vicini, dagli amici, dai colleghi di lavoro e soprattutto dalla famiglia, inclusa l'assoluta crudeltà di non poter accompagnare i morenti negli ultimi istanti di vita e di piangerli poi attrezzata.

In quei momenti è ritrovata la Comunità che cura, è una nuova sperimentazione della forza della relazione, sono ridotte le distanze … non senza macroscopiche differenze tra chi è trovato è sicuro e chi in mare aperto, ma certamente con un orizzonte di speranza che ha accomunato tutti, la paura è stata la leva per vedere finalmente il volto dell'altro ed in quel volto anche il mio volto.

Se tutto questo ha fatto stare bene, ci ha reso migliori, ci ha dato speranza, perché dovremmo rinunciarci per un piacere effimero e temporaneo?

Occorre però scegliere e vedere ciò di vedere nell'altro – in ogni altro – una persona come me e non un paziente o utente o beneficiario da gestire o usare per un nostro tornaconto. Occorre legare la logica del dono al concetto di Prossimità, comprendendo che questo concetto si fonda sulla relazione, sul riconoscimento dell'altro.

Scegliamo di essere "care giver", "donatori di cura" per qualcuno … e qualcuno quando ne avremo bisogno si prenderà cura di noi.


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