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La cacciata di Boeri, una sconfitta per Milano

di Giuseppe Frangi

Metto le mani avanti: ho sempre avuto grande stima di Stefano Boeri e quindi questo intervento è certamente un intervento di parte. Chiarito questo, sono convinto, che comunque la si pensi, la cacciata dell’Assessore alla Cultura dalla Giunta milanese rappresenti, oltre che un autogol politico, un atto grave nei confronti della città. Provo a dimostrarlo.

Punto primo. La scelta di Boeri alla Cultura era stata sin dall’inizio una scelta che qualificava la nuova giunta milanese. La qualificava politicamente perché metteva in squadra anche lo sconfitto delle primarie, dimostrando una compattezza dello schieramento. Ma la qualificava anche per il curriculum del personaggio, forte di una consolidata rete di rapporti a livello internazionale, grazie in particolare alla direzione di due riviste prestigiose a livello globale come Domus e Abitare: il profilo giusto per traghettare la politica culturale della città verso la scadenza del 2015, per aprire orizzonti larghi, per convogliare contributi di peso. Avere un assesore alla Cultura il cui nome sia noto a Parigi o a Londra è un fattore di non secondaria importanza.

Punto secondo. Boeri, com’è dimostrato dalle lettere di appoggio arrivate alle prime avvisaglie della manovra che si stava preparando ai suoi danni, ha saputo coagulare attorno a sé un consenso trasversale. Ha messo a collaborare forze vive della città senza guardare troppo alle appartenenze. In questo si è dimostrato molto libero e anche molto innovatore. Si è dimostrato capace di sperimentare una sorta di nuova chimica culturale, molto più dinamica, più vicina a quelle esperienze reali che rendono Milano una città sempre eccezionalmente creativa. Le ha convinte a uscire allo scoperto, a fare rete, a essere un fattore di contaminazione. L’esempio di BookCity e del suo successo del tutto imprevisto nonostante i tempi stretti per prepararlo e la ristrettezza dei mezzi, è lì a dimostrarlo. Milano città vitale, appena ha avuto a disposizione uno spazio intelligente in cui raccontarsi, è andata oltre le aspettative.

Punto terzo. Nel programma a cui l’assessore alla Cultura stava lavorando c’erano progetti destinati a segnare nel profondo l’immagine della città. Progetti nati spesso da condivisioni molto larghe e trasversali e che rompevano tante ingessature di cui Milano è stata vittima da molti anni a questa parte. Boeri non ha lavorato su idee spot, ma ha cercato di seguire linee più ambiziose, che fossero un investimento vero rispetto al futuro e non semplici operazioni da marketing culturale. Interrompere oggi questi cantieri è quindi doppiamente dannoso: perché si sperperano risorse già investite e si priva la città di un qualcosa che sarebbe diventato valore aggiunto per tutti. Non so che ne potrà essere ora della Grande Brera; del museo delle Culture all’Ansaldo, delle varie donazioni di archivi che grazie alla garanzia data da una persona come lui stavano finalmente tornando a orientarsi su Milano. In particolare mi chiedo che ne sarà del progetto che mi sembra rappresenti meglio la politica di Boeri, vale a dire la risistemazione di quel grande capolavoro “dimenticato” (una delle più straordinarie sculture della storia) che è la Pietà Rondanini di Michelangelo. Credo che l’idea di portare, in attesa della nuova collocazione al Castello, la Pietà per un breve periodo al carcere di San Vittore sia uno di quei gesti di “cultura civile” che avrebbero potuto segnare profondamente la coscienza della città, riattivando un rapporto vero tra l’arte e le urgenze della vita. Che un assessore che viene da una cultura laica avesse colto il significato umano di quell’immagine pur così chiaramente religiosa, che ne avesse proposta una valorizzazione così coerente e insieme così aperta alla comprensione da parte di tutti, mi è sembrata un’opportunità straordinaria per Milano. Non so ora che ne sarà, visto che il progetto era legato alla rete di rapporti (anche con la realtà carceraria, con i volontari, con gli operatori) che Boeri aveva costruito tenacemente in questi mesi. La sensazione triste è che sarà una grande occasione perduta per Milano.


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