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Quella chiesina spedita a New York

di Giuseppe Frangi

Un artista sulla cresta dell’onda e anche molto glamour ha avuto questa idea provocatoria: ha comperato un terreno in un paesino dell’entroterra calabro, sapendo che su questo terreno insisteva una chiesina settecentesca, ridotta ormai a rudere.   Francesco Vezzoli, questo il nome dell’artista, che per altro è bresciano, ha quindi smontato i resti dell’edificio diventato di sua proprietà, li ha imballati per portarli al Moma PS1 di New York dove era in programmazione una sua mostra. Una tardiva reazione di sovrintendenza e polizia ha bloccato l’operazione proprio mentre i resti stavano per essere imbarcati al porto di Gioia Tauro.

La vicenda paradossale, pone quanto meno due domande che toccano questioni di fondo. La chiesa era ridotta a rudere, perché uscita dagli interessi della comunità. Nessuno se ne prendeva cura, perché nessuno ne faceva più esperienza, non c’era più legame d’interesse tra l’edificio e chi avrebbe dovuto “viverlo”. Quella chiesa ridotta in rovina è l’evidenza di una cosa non solo senza più una funzione, ma senza più un nesso con la vita di chi viveva li attorno. Tutt’al più poteva aspirare ad essere un valore solo in rapporto a quello che era stato. Dall’altro lato, Vezzoli invece dimostrava di avere un interesse per quello stesso edificio, tanto da investire una somma considerevole non tanto per rimetterlo a nuovo, quanto per restituirgli una funzione. In un certo senso per Vezzoli la chiesina della Madonna del Carmine di Montegiordano era luogo di un’esperienza, e forse lo sarebbe stata anche per chi se la sarebbe trovata davanti, così radicalmente decontestualizzata, a New York.

In sintesi. L’operazione di Vezzoli è provocatoria, perché mette il dito nella piaga: quelle pietre non dicono più niente a nessuno. Ma è provocatoria doppiamente, perché inserendola dentro un progetto artistico ambizioso e sostenuto dalla sua notorietà, le restituisce un senso. Quella chiesa diventa ancora un luogo di un’esperienza, seppur molto diversa rispetto a quella per cui era nata.

Questo insegna l’aneddoto: che il patrimonio ha bisogno dell’attenzione premurosa di chi lo custodisce. Ma quest’attenzione si genera se il patrimonio senza trasformarsi in onere alla lunga difficilemente sostenibile, torna ad essere un’esperienza. Il che non vuol dire ovviamente traslocare i monumenti in un altro continente. Ma i paradossi  come questi aiutano a capie qual è il problema…


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