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Il mio lascito alle fondazioni di comunità

di Bernardino Casadei

Chiunque mi conosca sa quanta energia, impegno, passione io abbia dedicato all’introduzione e allo sviluppo delle fondazioni di comunità in Italia. Per questo ora che le vicende della vita mi stanno portando a occuparmi di altre tematiche e affinché l’esperienza maturata in vent’anni dedicati allo studio e allo sviluppo della filantropia di comunità non vada dispersa, ma possa essere messa al servizio di chi faticosamente cerca di promuoverla nel proprio territorio, ho pensato opportuno raccogliere in un volume recentemente edito da Carocci: Le fondazioni di comunità. Strumenti e strategie per un nuovo welfare, i principali scritti, diversi dei quali inediti, che in questi due decenni ho dedicato a questo mondo.

 

Questa origine è la principale responsabile del fatto che non tutti i capitoli siano omogenei. In ogni parte ve ne è infatti uno molto più breve degli altri che avrei certo potuto incorporare nei precedenti, ma che ho preferito mantenere distinto, sia per rispettarne in qualche modo la genesi, sia in quanto affronta un aspetto che giudico strategico e meritevole di particolare attenzione: come costituire una fondazione di comunità; il ruolo dell’intermediazione filantropica nel “dopo di noi”; il dono come diritto di cittadinanza; la valutazione di un’iniziativa di impatto collettivo.

I testi originali sono stati aggiornati e integrati con l’obiettivo di cercare di ridurre le inevitabili ripetizioni e di offrire al lettore un percorso logico che l’aiuti a penetrare gli elementi costitutivi delle fondazioni di comunità, ma anche la loro evoluzione. Malgrado ciò, ogni capitolo mantiene una propria separata identità e può quindi essere letto indipendentemente dagli altri.

Ho anche ritenuto opportuno aggiungere un’appendice con un saggio che avevo dedicato al tema del rapporto tra fondazioni di comunità e fondazioni d’origine bancaria che credo sia il primo scritto in assoluto apparso in Italia sul tema. In questo caso mi sono limitato a poche modifiche stilistiche, in quanto credo che questo articolo mostri come le intuizioni che sono state alla base delle diffusione del concetto siano, a distanza di quasi vent’anni, ancora attuali. Completa il volume un secondo articolo che illustra la diffusione delle fondazioni di comunità nel mondo e ne descrive l’introduzione in Italia attraverso la spiegazione delle principali caratteristiche del progetto che ho gestito per conto di Fondazione Cariplo.

 

Il volume inizia con tre articoli relativamente recenti volti a presentare la filantropia istituzionale e le fondazioni di comunità al fine di introdurre il lettore al tema e aiutarlo a comprendere i fondamenti di un settore che non sempre ha una chiara consapevolezza della sua identità e delle sue potenzialità. In questo modo, anche il meno esperto potrà avere una visione panoramica di come è strutturata la filantropia istituzionale, delle principali sfide con cui è chiamata a confrontarsi e, nel contempo, farsi un’idea abbastanza precisa di cosa siano e di come operino le fondazioni di comunità.

 

La seconda parte invece è strutturata in tre capitoli volti a illustrare la caratteristica forse più importante che spiega il successo di queste fondazioni: i servizi ai donatori, ossia il fatto che tali enti, benché raccolgano soldi, non utilizzano le normali tecniche del fundraising – che, quando sono state applicate in questo ambito, hanno dato dei risultati assolutamente deludenti – ma si pongono al servizio dei donatori. Essi infatti non raccolgono soldi per sé, ma attraverso di sé, tanto che sono considerati dai più come degli intermediari fra i donatori e gli enti non profit. Il loro obiettivo è di aiutare i primi a individuare le modalità più efficaci per perseguire i loro fini filantropici e di sostenere i secondi con le risorse che hanno potuto così catalizzare. Il primo intervento, di natura più generale, è poi seguito da due approfondimenti, uno sulla filantropia d’impresa e l’altro sul ruolo che l’intermediazione filantropica può svolgere nell’assistere chi, trovandosi con un parente, spesso un figlio, disabile, deve elaborare una strategia per quando non potrà più assisterlo direttamente.

 

La terza parte è dedicata a riflettere sulla missione di una fondazione di comunità. Attraverso l’approfondimento del concetto di dono è possibile individuare un ruolo che vada al di là della semplice intermediazione filantropica. Le fondazioni di comunità possono offrire servizi tecnici in grado di permettere al donante di ridurre i costi di transazione, di massimizzare i benefici fiscali, di liberarsi da fastidiosi oneri burocratici e amministrativi, ma, se il loro ruolo si riduce solamente a questo, esse potrebbero essere facilmente sostituite da altre strutture che possono offrire servizi analoghi a costi inferiori. L’esperienza statunitense mostra come sia facile per le società finanziarie sfruttare le loro competenze e la loro efficienza per sostituirsi alle fondazioni di comunità. In questo modo queste società possono, oltre a fidelizzare la loro clientela offrendole servizi filantropici, gestire miliardi di dollari. Rispetto alle strutture gestite dalle società finanziare, attraverso la promozione del dono, le fondazioni di comunità possono dare un valore che va oltre l’aspetto puramente meccanico e gestionale della filantropia. Così facendo esse possono contribuire in modo sostanziale a ricostruire quel patrimonio di fiducia di cui sia lo Stato che il mercato hanno un evidente bisogno per poter operare, ma che non sembrano in grado di generare autonomamente e, nel contempo, dare una risposta ad alcuni dei bisogni fondamentali della persona umana, bisogni che la nostra società, pur nella sua opulenza, non riesce a soddisfare.

 

La quarta parte, la più recente, vuole presentare quella che, secondo numerosi studiosi, politici, centri di ricerca di fama internazionale, osservatori e operatori del settore, è la modalità più efficace per affrontare in modo costruttivo i problemi sociali. Davanti al sostanziale fallimento di decenni di programmazione, sperimentazioni, diffusione di buone pratiche; quest’approccio, che fa leva sulle relazioni e l’identificazione di un impatto perseguito collettivamente, ha conseguito impressionanti risultati positivi riuscendo a migliorare sensibilmente gli indicatori di riferimento non solo per un gruppo limitato di soggetti, come di solito accade per i progetti finanziati dalle fondazioni o dalle pubbliche amministrazioni, ma per tutta la popolazione di riferimento. L’approfondimento del concetto e alcune riflessioni sulla prima sperimentazione che tale approccio sta avendo in Italia, grazie all’impegno della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, potranno forse offrire nuove prospettive per chi è realmente interessato ad affrontare in modo fecondo le sfide del presente.

 

Non mi resta che chiudere questo mio post con la speranza che queste riflessioni possano contribuire al rilancio di un settore che credo sia fondamentale, non solo per ricostruire quel nuovo welfare di cui tutti sentiamo un così evidente bisogno, ma anche per rimettere in modo un’economia che ha chiaramente bisogno di ritrovare quella fiducia e quelle prospetive che proprio il dono è in grado di generare.


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