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Può l’intermediazione filantropica diffondersi anche in Italia?

di Bernardino Casadei

Negli Stati Uniti i fondi con diritto d’indirizzo sono il segmento in più rapida ascesa della filantropia americana. Dei 10 enti non profit che nel 2016 hanno raccolto più donazioni, ben sei sono organizzazioni che gestiscono questa tipologia di fondi:

  • Fidelity Charitable Gift Fund che è al primo posto e ha raccolto in un anno 4,1 miliardi di dollari;
  • Goldman Sachs Philanthropy Fund che è al terzo posto (nel 2015 era al 34°) con 3,2 miliardi;
  • Schwab Charitable Fund che è al sesto posto con 1,9 miliardi di dollari;
  • National Christian Foundation che è all’ottavo posto con 1,5 miliardi di dollari;
  • Silicon Valley Community Foundation che è al nono posto con 1,4 miliardi di dollari;
  • Vanguard Charitable Endowment Program che è al decimo posto con 1,3 miliardi di dollari.

Si tratta di raccolte annuali che vengono ottenute da questi enti mettendo la loro infrastruttura a disposizione di donatori che creano al loro interno dei fondi filantropici che verranno poi distribuiti sulla base delle indicazioni di questi ultimi. In pratica in questo modo si democratizza la filantropia e si permette anche a chi a mezzi modesti di usufruire dei benefici di una propria fondazione.

Si tratta di un’evoluzione che è destinata a rafforzarsi. Secondo il nonprofit National Philanthropic Trust, nel 2016 ben 23,27 miliardi di dollari sono stati destinati in fondi con diritto d’indirizzo con una crescita del 7 percento rispetto al 2015 e del 18 percento rispetto al 2014. Crescita che sembra essere continuata anche nel 2017 se, secondo quando ha affermato Linda Wolohan di Vanguard Charitable, una dei principali intermediari filantropici statunitensi, a metà dicembre è stata rilevata una crescita annuale del 45% nel numero di fondi, del 41% nel numero di donazioni e del 40% nel numero delle erogazioni.

In Italia, sebbene l’intermediazione filantropica sia stata introdotta ormai vent’anni fa con la nascita delle prime fondazioni di comunità, essa ha potuto svilupparsi solo marginalmente. In realtà le fondazioni di comunità hanno potuto coglierne solo marginalmente le potenzialità, o perché troppo impegnate a gestire i trasferimenti che venivano fatti a loro favore delle fondazioni d’origine bancaria che ne avevano promosso la costituzione o perché privi delle competenze necessarie per offrire i servizi ai donatori che un intermediario deve garantire per poter perseguire il proprio scopo.

La nascita della Fondazione Italia per il Dono onlus sta però cambiando questa situazione. In pochi anni questa fondazione, che fa della promozione del dono attraverso lo sviluppo dell’intermediazione filantropica la propria missione, ha raggiunto risultato veramente sorprendenti, soprattutto se si pensa che tutto è stato possibile con risorse veramente limitate e praticamente senza alcuna attività di comunicazione Basti pensare che nel 2017 l’intera struttura è costata meno di 90.000 euro.

In soli tre anni, le donazioni sono infatti cresciute di oltre l’800% passando dai 260.000 euro del 2015 ai 2.370.000 euro del 2017; Il patrimonio è aumentato di circa il 350% passando da 200.000 euro a quasi un milione e le erogazioni si sono incrementate di circa il 600% partendo dai 100.000 euro del 2015 per arrivare ai 730.000 del 2017.

Certo si tratta di valori infinitesimali rispetto a quanto raccolgono gli intermediari filantropici statunitensi, ma i risultati raggiunti in così poco tempo, con una struttura estremamente leggera e con un’attività di comunicazione praticamente inesistente mostrano chiaramente le potenzialità dello strumento, potenzialità che appariranno ancora più evidenti se si considera come solo nell’ultimo anno sono pervenute promesse di donazione che si manifesteranno attraverso lasciti e legati testamentari per diverse decine di milioni di euro.

In una società che ha chiaramente bisogno di risorse fresche per far fronte alle sfide del presente e in cui ben difficilmente le istituzioni filantropiche esistenti potranno aumentare sensibilmente le loro capacità erogative, l’intermediazione filantropica potrà forse rivelarsi un importante boccata d’ossigeno per un privato sociale che è chiamato a fare un salto di qualità e a scoprire nel dono, non solo una fonte di finanziamento, ma anche e soprattutto una sorgente inesauribile di quel capitale di fiducia e relazioni che si sta rivelando sempre più indispensabile per il corretto funzionamento dei meccanismi del libero mercato e delle istituzioni democratiche.


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