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Sanità & Ricerca

Terapie e gravidanza. La volta che ho abortito perché non mi spiegarono bene i rischi.

di Noria Nalli

Un ricordo doloroso che ho cercato in tutti i modi di rimuovere. Anni fa ebbi un’interruzione di gravidanza. Ero rimasta incinta durante la terapia del mitoxantrone. Quel farmaco serviva a ridurre l’insorgenza di ricadute, è molto efficace,  ma teratogeno. Insomma il mio bambino avrebbe avuto con ogni probabilità delle gravi malformazioni.  Indebolita dalla cura e dalla malattia, frastornata per la situazione, ho scelto,  anche su consiglio medico, di abortire. Appena ripresami dallo schock, insieme a mio marito ho cominciato a riflettere su quanto era accaduto. Prima di iniziare la terapia col mitoxantrone, ho dovuto firmare un modulo per il consenso informato. Quel giorno ero stravolta, terrorizzata dalle recenti ricadute. Non ho letto il foglio con troppa attenzione, volevo solo iniziare la cura che mi avrebbe fatto stare meglio. Ma nel consigliare un farmaco così pericoloso nel caso di una gravidanza, non sarebbe stato giusto ed opportuno convocare me e mio marito e spiegarci bene la situazione? I malati, soprattutto le donne, non vengono ancora concepiti come esseri con pari diritti,  dotati di una loro normale sessualità.  Una donna con sclerosi multipla,  agli occhi di molti medici, deve già ritenersi fortunata di riuscire a contenere le ricadute, con un farmaco. È inammissibile che pensi  anche ad avere rapporti col proprio compagno.

 


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