Corvi, colombe e pappagalli. Papa Francesco antiusura e #noslot

di Marco Dotti

Solo pochi giorni fa, c’era chi aveva espresso timore per l’attacco dei corvi alla colomba liberata durante l’Angelus del Papa (→ qui). Chi crede alla superstizione dei segni e interpreta tutto di conseguenza che cosa penserà adesso dell’immagine di un Papa che – è successo ieri, nel corso dell’udienza generale del mercoledì – viene ritratto accanto a un grande pappagallo verde? (forse niente, visto come molti giornali sono già caduti nel pettegolezzo… ma forse proprio questo è il vero stigma del nostro tempo, o no? → qui)?

Sia come sia, è proprio di corvi che Papa ha Francesco ha parlato ieri.  I corvi dell’usura, i corvi dell’azzardo, i corvi che dicono “domani” e sprecano il loro tempo facendo a pezzi il tempo altrui. Di questo ha parlato il Papa: poche parole, a braccio, ma parole che contano. Su “cose importanti”.

Anche San Bernardino da Siena amava improvvisare sermoni e spesso lo faceva proprio sul verso del corvo – “cra, cra” – e sul significato latino di una parola che quel verso ricordava da vicino: cras, domani. “Domani, domani” dice il peccatore che non vuole pentirsi e, in questo, ricorda Bernardino, chi pecca è simile al corvo.

Ma il corvo ha anche un altro valore simbolico, non necessariamente negativo. E come tutte le cose può improvvisamente sorprenderci e cambiare il suo segno. È noto infatti l’episodio in cui il corvo, ubbidendo a San Benedetto, portò lontano da lui il pane avvelenato dall’invidioso Fiorenzo. «Prendi, prendi senza paura» – gli ingiunse il santo – e il corvo prese il pane avvelenato e lo gettò laddove «nessun uomo lo potesse trovare».

Simile al pane avvelenato è l’usura. Quell’usura contro  cui proprio ieri Papa Francesco ha tuonato:«quando una famiglia non ha da mangiare perché deve pagare il mutuo agli usurai non è umano, non è cristiano!». Non è umana questa «piaga sociale che ferisce la dignità inviolabile della persona umana».

Anche Matteo, prima di diventare apostolo, praticava l’usura. Ed è in un passo del suo Vangelo – uno dei più enigmatici di tutti i Vangeli: la parabola dei talenti – l’esplicito ammonimento contro questa patologia del tempo che rende schiavi gli uomini e, come ebbe a dire il poeta Ezra Pound, «soffoca il figlio nel ventre /arresta il giovane amante / cede il letto a vecchi decrepiti, /si frappone tra giovani sposi». 

Qui non siamo davanti al solito assessore o alla solita onorevole che si mettono in bella mostra facendosi fotografare ad usum delphini davanti a inutili attestati. Qui siamo davanti a persone, a storie, a un vissuto che preme per diventare comune e uscire così da quella solitudine in cui il male prospera.

Le parole del Papa sono andate dritte al cuore di un problema concretamente rappresentato ieri dalle oltre 4000 persone (volontari, famiglie a rischio usura ed ex-giocatori d’azzardo) facenti riferimento alle 28 fondazioni aderenti alla Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”. Proprio la Consulta ha reso noto che il prossimo 21 settembre – festa di San Matteo – si terrà la prima Giornata nazionale di lotta all’usura promossa da tutte le Fondazioni antiusura. Importanti anche le parole di monsignor Alberto D’Urso, segretario generale della Consulta, che qui riprendo da un’intervista concessa a Patrizia Caiffa dell’agenzia Sir (→qui):

«il fenomeno dell’usura è in crescita a causa delle difficoltà economiche delle persone, sulle quali gli usurai si precipitano come avvoltoi. (…) È aumentato il disagio ma anche la sensibilità della gente. C’è una coscienza di popolo che cresce. Per noi è stato importante celebrare l’eucarestia nella basilica di San Pietro, per passare simbolicamente dal pane negato (l’usura), al pane donato e al pane condiviso. Sono per noi passaggi fondamentali, educativi, e appartengono alla cultura pastorale che è alla base dell’attività di prevenzione. Lo Stato non può fare delle leggi per combattere l’usura e poi tenere in vita esperienze come il gioco d’azzardo, che sono una delle cause principali».

Nel suo libro intervista con Sergio Rubin e Francesco Ambrosetti, l’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio racconta un’esperienza. La racconta in due righe, ma sono righe illuminanti, tra le tante pagine di una serie di interviste rilasciate nel 2009-2010. A pagina 137, parlando della dittatura argentina, Bergoglio afferma: «Alle volte, senza volere, si preferisce non vedere episodi troppo sgradevoli, o magari non si accetta che siano veri. Ne sa qualcosa chi ha un figlio drogato, o che gioca d’azzardo, o con qualsiasi altro vizio grave». 

Per quanto noi, che viviamo in “libertà” e “democrazia”, continueremo a non vedere ciò che corrompe e uccide? Andiamo incontro al concreto, alle persone e alle cose. Basta slogan! Non possiamo gridare “domani” come i corvi di San Bernardino. (Anche se a volte, come insegnano san Benedetto e Papa Francesco, una parola ferma e un sorriso bastano a disarmare anche il corvo più astuto).

 


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