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Tassa di scopo o gabella comunale? L’azzardo usato per fa cassa

di Marco Dotti

Ve li ricordate Troisi e Benigni sul loro carretto in Non ci resta che piangere? «Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Un fiorino», ripete continuamente il daziere. L’assurdo – e il comico – è che, pagato il dazio, la cantilena riprende e il doganiere ne chiede un altro, un altro e un altro ancora. Finché i due decidono di passare il ponte e Massimo Troisi lo manda saggiamente a quel paese.  Non sembra molto diversa da questa, la situazione che ci troviamo a vivere in questi mesi. Depositate le 93mila firme – poche o tante che siano – a sostegno dell’iniziativa di legge popolare voluta dai sindaci aderenti a Legautonomie, altre se ne stanno aggiungendo. Una su tutte quella dell’Anit, un’altra associazione tra comuni. L’Associazione Nazionale per l’Incremento turistico esiste dal 1969 e ha uno scopo esplicito, come si legge nei documenti: «giungere in Italia ad una regolamentazione del gioco d’azzardo. In questo contesto auspica anche l’apertura di nuove Case da gioco a cui si candidano i Comuni aderenti. Attualmente le località, tutte a prevalente vocazione turistica, sono 15; alcune di esse sono state in passato sedi di casinò, in seguito chiusi d’autorità». Insomma, una lobby, nel senso pacato e chiaro e nella tonalità per nulla spregiativa che gli anglosassoni danno a questo termine. Va detto che molti dei comuni aderenti all’Anit furono in passato sede di storici casinò (→ qui l’elenco), poi chiusi per lasciar spazio ai quattro tutt’ora aperti: San Remo, Saint Vincent, Campione, Venezia. La posizione dell’Anit potrebbe apparire antistorica, se non fosse che da più parti si invocano alternativamente l’apertura di casinò regionali o provinciali o in consorzio tra comuni – insomma la costituzione di aziende municipalizzate dell’azzardo – o addirittura introducendo il sistema della tassa di scopo, in sostanza: giochi d’azzardo, ma allo Stato baro, si sostituisce il comune biscazziere, col rischio – anzi, la certezza – di sentirsi ripetere da qualche esattore comunale il celeberrimo «Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Un fiorino».

Questo sistema non è per nulla in contrasto con quanto le lobby del gioco  -anche qui,  detto senza offesa – vanno da tempo ripetendo.  Massimo Passamonti, presidente di Sistema Gioco Italia (aderente a Confindustria) è stato sempre chiaro sul tema e anche di recente ha dichiarato che l’attuazione dell’articolo 14 della legge delega fiscale potrebbe aprire a una tassa di scopo, come auspicato dai comuni. E – se non capisco male – come auspica anche l’articolo 8 della Iniziativa di legge popolare portata avanti da Legautonomie. «Dobbiamo revisionare  il sistema delle tasse sul gioco d’azzardo. Convocherò un tavolo interministeriale». Così  d’altronde si esprimeva, ai primi di gennaio, il Ministro degli Affari Regionali Graziano del Rio, che prontamente aggiungeva: «Lo Stato non può avere atteggiamenti ambigui verso questo fenomeno». Alle parole del Ministro fanno eco oggi quelle di molti sindaci: ma una cosa è chiedere di razionalizzare o aumentare la tassazione un’altra è lasciar intendere che sarebbe auspicabile introdurre una tassa ad hoc per destinare il maggior gettito al sistema degli  Enti Locali o al finanziamento di opere di pubblica utilità o del sociale… Così facendo – viene da ribattere – non si creerebbe un nesso ancora più perverso e stringente tra azzardo e fiscalità? Il rischio, come nella lapide di Rovereto scelta per illustrare questo articoletto, è che si depongano le armi, per innalzare le cartelle esattoriali.

@oilforbook


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