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Burocratizzare il burocrate. La lezione antistatalista di Asterix

di Marco Dotti

E così si vota per le elezioni provinciali. Poco importa che le province – non si era detto così? – siano state abolite. Evidentemente sopravvivono in forma di ectoplasma o qualcosa del genere. La forma moderna della totalità statalista preferisce la variante soft: lascia intatte le facciate della casa, ma fa il vuoto dentro. Questa dello svuotamento è una costante. Una costante tecno-nichilista. Si parla di “diritti”, di “libertà”, di “emancipazione da”, ma dentro c’è il vuoto. E il vuoto lega più di ogni sostanza, come un vortice che non ti porta mai sul fondo, ma fa girare a vuoto il motore della barca. Questo vuoto è lo Stato.

Lo Stato come concetto. Anch’esso vuoto, ma massimamente espansivo. Se è vero che la macchina-Stato si regge su un hobbesiano stato di paura e di guerra permanente, allora dobbiamo chiederci quale sia la forma prevalente – qui e ora – di questa paura. Chiederci che cosa lega individui e comunità e ne colonizza persino l’immaginario. Non le armi, almeno non qui. Non la mera rassegnazione, non ora.

O forse è una forma di tecno-burocrazia simile a quella descritta nelle “Dodici fatiche” di Asterix, film d’animazione sommamente politico. Costretti a chiedere un lasciapassare, Asterix e l’amico Obelix vengono rimpallati da un ufficio all’altro. Dinanzi alla follia burocratica, Asterix ha un colpo degno di Archimede pitagorico o del grande Sun Tzu. Non gli servono forza e pozioni druidesche, perché contro il mostro statale-burocratico la forza si converte in una forza pari e contraria ritorcendosi contro il rivoltato. No, il ribelle (à la Jünger) usa altre astuzie.

Ecco allora che dinanzi alla follia dei burocrati, che non gli vogliono consegnare il lasciapassare “X”, Asterix si inventa la richiesta di un inesistente certificato “Y”. Dinanzi all’assurdo che non ha contribuito a creare, dinanzi a un assurdo di altro ordine e grado il burocrate impazzisce e la macchina va in tilt. Ma soprattutto crolla la gabbia – che qui alcuni chierichetto chiamano, adorandola come un idolo, “legalità – che lega l’immaginario allo Stato.

Come insegna la storia di ogni inquisizione, posto davanti allo specchio, abbandonato dalla vittima (che resta materialmente vittima, ma spiritualmente guarda altrove), all’inquisitore solo e nudo non resta che inquisire se stesso. Certo, però, che se accettiamo di votare per ectoasmi provinciali, assurdamente garantiti dal fatto che “i nuovi eletti non percepiranno indennità” (come se fosse quello il nodo di Gordio della post-democrazia!), resta poco da fare.

Beatificheremo Equitalia? Santificheremo le cartelle esattoriali? Esalteremo il sacro ruolo delle istituzioni? Perderemo altri giorno, altri mesi, altri anni dietro a regolamenti attuativi, leggi delega etc? Ci agiteremo per mille ectoplasmi e mille fantasmi, senza mai colpire mai al cuore il problema? Quando Stato e parastato avanzano mano nella mano, resta poco spazio per l’uomo. Ma l’uomo che non ha ceduto al nulla, forse sconfitto ma che non si è fatto interiormente divorare è sempre capace di quel ribaltamento che può rimettere in discussione tutto.


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