Anniversari

Genocidio di Srebrenica: così Belgrado continua a negarlo

La Serbia nega ancora il genocidio, nonostante le sentenze internazionali, e il negazionismo è radicato nella sua classe dirigente. La pace è ancora lontana in tutti i Balcani o, perlomeno, manca una concreta prospettiva di pace che conduca a una vera e genuina riconciliazione fra tutti i popoli che abitano questa regione chiudendo, finalmente, un capitolo troppo lungo e doloroso

di Paolo Bergamaschi

Anche se i drammatici fatti del 1995 si svolsero nell’arco di più giorni, da quest’anno la data dell’11 luglio è stata designata come “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica”.

Lo aveva deciso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso anno adottando una controversa risoluzione presentata da Germania e Ruanda, due paesi che hanno vissuto eventi assimilabili a quanto accaduto nella cittadina bosniaca. Sono stati, infatti, solo 84 i paesi membri che hanno votato a favore del testo, cioè la maggioranza relativa, con 19 contrari e 68 astenuti. Fra i voti contro spiccano quelli di Serbia e Federazione Russa, i due paesi che fino all’ultimo hanno ostinatamente cercato di affossare il documento con una asfissiante campagna diplomatica senza quartiere presso tutte le rappresentanze del Palazzo di Vetro a New York. Nonostante sia la Corte di Giustizia Internazionale, il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, che la Corte Penale Internazionale per i Crimini di Guerra nella ex Jugoslavia abbiano inequivocabilmente stabilito che quello che si è consumato a Srebrenica fu un atto di genocidio, Belgrado continua pervicacemente a negarne l’evidenza confinando e relegando i fatti a un generico contesto storico di conflitto disseminato di innumerevoli atrocità e atti efferati commessi da tutte le parti in causa.

Non è affatto una coincidenza che Aleksandar Vucic, l’attuale presidente della Serbia, sia stato anche ministro dell’informazione ai tempi di Slobodan Milosevic. L’obiettivo rimane quello di diluire e annacquare le colpe ripartendole fra tutti gli attori, in poche parole derubricare i crimini commessi sminuendo le responsabilità del governo di Belgrado e, quindi, del popolo serbo che, allora, peraltro, era ancora parte di quello che restava della Jugoslavia dopo le secessioni di Slovenia, Croazia, Macedonia e, dall’aprile del 1992, anche della Bosnia-Erzegovina. Non c’è alcun dubbio che negazionismo e revisionismo storico facciano parte del bagaglio culturale di chi è oggi al potere in Serbia.

Ma la pace è ancora lontana in tutti i Balcani o, perlomeno, manca una concreta prospettiva di pace che conduca a una vera e genuina riconciliazione fra tutti i popoli che abitano questa regione chiudendo, finalmente, un capitolo troppo lungo e doloroso. Dopo essersi spartiti e marcato il territorio, ingabbiate le identità, accentuato le diversità culturali e religiose e stravolto perfino lingue e alfabeti i governi nazionalisti si sono appropriati e spartiti anche la storia. Se questo risulta imbarazzante per chi bussa alla porta o è già entrato nell’Unione Europea, costruita in antitesi all’ideologia sovranista, diventa drammatico in un paese come la Bosnia-Erzegovina dove sui banchi di scuola si studiano testi diversi con interpretazioni contrapposte a seconda di dove ci si trova. È un incommensurabile paradosso storico che Srebrenica oggi faccia parte della Republika Srpska, ovvero l’entità a stragrande maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina in mano ai negazionisti del genocidio.

C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui a Bruxelles si è cercato di promuovere e condividere una visione comune della storia dei Balcani mettendo insieme un gruppo di lavoro di esperti di origine diversa della regione. Ne sono usciti alcuni volumi in carta patinata presentati con grande enfasi al Parlamento Europeo che ho ancora da qualche parte in archivio. Purtroppo sono rimasti inutilizzati, impolverati e ingialliti, sugli scaffali delle biblioteche, semmai ci sono arrivati. Lunedì scorso il Parlamento Europeo ha aperto i lavori commemorando le vittime del genocidio di Srebrenica alla presenza di due sopravvissuti al massacro. “Questo Parlamento rende onore a voi e a tutti i sopravvissuti, così come continuiamo a mantenere vivo il ricordo delle vittime”, ha affermato solenne la presidente Roberta Metsola. Due giorni dopo, mercoledì, lo stesso parlamento ha adottato la relazione annuale sulla Bosnia-Erzegovina, uno stato incapace di fare i conti con il passato e di progettare un futuro comune a causa delle persistenti contrapposizioni etniche e della contorta architettura istituzionale ereditata dagli accordi di Dayton che nel 1995 hanno messo fine alla guerra. Sono trascorsi trent’anni, però, e poco o nulla è cambiato al punto che il paese è precipitato in una crisi costituzionale che rischia di portarlo al collasso nonostante l’Ue abbia finalmente deciso di aprire le porte all’adesione. Ancora una volta la leadership serbo-bosniaca punta i piedi, ancora una volta pone veti e lancia minacce sfidando la comunità internazionale. Intanto al cimitero memoriale di Potocari, nei pressi di Srebrenica, continuano a identificare le spoglie delle vittime del genocidio e a seppellire quello che rimane di loro nelle piccole bare. Come ogni anno da trent’anni.  

Foto apertura: una donna si appoggia ad una lapide al Memorial Center di Potocari, in Bosnia, venerdì 11 luglio 2025/AP Photo/Armin Durgut/Associated Press/LaPresse     

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