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Tutti a Torino al Bike Pride, al carnevale delle biciclette

di Andrea Cardoni

Due ruote. Ecco. Con due ruote si può cambiare una città. Domenica 26 maggio, a Torino, ci sarà il quarto Bike pride. Ne parlo con Fabio Zanchetta, presidente e ideatore del Bike Pride di Torino. Lavora all’università ed è un informatico. Ovviamente va in bicicletta a lavorare.

Con il Bike Pride, i ciclisti di Torino chiedono una città a misura di persona. “Non rivendichiamo solo i diritti dei ciclisti, quanto piuttosto vogliamo ricalibrare la città intorno all’uomo e non intorno all’auto”, dice Fabio. Quest’anno, tra l’altro, il Bike Pride sta sostenendo, con un’azione di crowdfounding, il progetto di cooperazione internazionale “Tulime Baiskeli. Coltiviamo la bicicletta”, per sostenere il turismo responsabile e l’uso delle biciclette in Tanzania.

Perché venire al bike pride? “Insieme al messaggio ambientalista e una richiesta alla città verso un maggiore impegno per la sicurezza stradale, penso sia bello partecipare perché è il carnevale della bicicletta: potete trovarne alcune vestite da drago, biciclette una sopra l’altra con acrobati che le pedalano. E poi ci sono bici a scatto fisso, bici da trial… sarà bello guardarsi intorno e guardare tanti colori e biciclette non usuali” Anche in seguito allo studio del dipartimento dei trasporti di New York, in questi giorni sono molte le riflessioni sulla correlazione tra la presenza di aree ciclabili e l’aumento degli affari nelle piccole attività. “Può sembrare banale, ma non lo è: nel momento in cui aumenti gli spazi di passaggio, pedonali e ciclabili, aumenti la fruizione per chi si sta muovendo a piedi e in bici e che può fermarsi davanti agli esercizi commerciali dove vuole, quando vuole. Andare in bici produce l’aumento dell’attività culturale, non solo economica e questa non è la prima ricerca in tal senso. Già nel 2004  Jacobsen registrava l’aumento economico delle attività commerciali nei pressi delle zone ciclabili, ma anche l’aumento dell’interesse verso la cultura e soprattutto i prezzi delle case sono più bassi”.

E’ interessante vedere come movimenti come il vostro riesca ad incidere, anche a livello mediatico e nei rapporti con le pubbliche amministrazione: come mai? “Sicuramente perché dietro al nostro messaggio e ai nostri eventi c’è chi sa fare questo mestiere. sempre più professionali. L’ italia, tra l’altro è in ritardo di venti/trent’anni anni rispetto al resto d’Europa. Più di trent’anni fa questi movimenti hanno trasformato l’Olanda e la Danimarca in un momento di estrema crisi per entrambi i paesi. Siamo fra gli ultimi in Europa indietro come Grecia, Bulgaria. Già ci sono stati in Francia, Spagna questi movimenti che hanno già cambiato un bel po’. In Italia siamo ancora tra gli ultimi in Europa e, in un momento economico peggiore, si sta riproponendo la stessa dinamica. La gente comincia a percepire diversamente lo spazio urbano, inizia a percepire la sostenibilità dell’ambiente e degli spazi”.

Qual’è il nesso tra la crisi economica e lo sviluppo di un movimento come il vostro? “Sicuramente la crisi ha aiutato ha inciso nel rivedere lo stile di vita: possiamo proporre proporre stili di vita più sostenibili e attuabili. Negli anni 80 Danimarca e Olanda erano in profonda crisi,ma hanno investito su infrastrutture e opere pubbliche e hanno riprogettato la città. La crisi può suggerire la nuova visione del mondo, poi però dobbiamo riuscire a utilizzarla”.


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