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A scuola di codice, di calzini spaiati, di riuso e di Africa

di Andrea Cardoni

Ad esempio, a volte succede che le soluzioni si trovino negli esempi. Sabato mattina, ad esempio, sono andato a Sigillo e a Costacciaro che sono due paesi in Umbria e ci sono andato a raccontare delle cose che c’erano in Africa, di come sono fatte le scuole della Tanzania, di cosa studiano i bambini della Tanzania, e poi abbiamo riflettuto insieme su storie da inventare, da scambiarci con le scuole della Tanzania. E però prima di iniziare a raccontare ho visto che questi bambini usavano delle lavagne nuove, mica come quelle nere di quando andavo a scuola io, che parlavano di programmazione, di codici, di Scratch. E allora ho chiesto alla maestra Caterina cosa fossero quelle cose lì e lei ha detto che era un percorso che è iniziato qualche tempo fa con la maestra Agnese di Roma, la maestra Beatrice di Fabriano, insieme a pedagoghi, programmatori, sviluppatori  nei CoderDojo (che sono le palestre per giovani programmatori).

E la maestra Caterina mi ha raccontato che il primo progetto che hanno fatto insieme era per la settimana europea per il riciclo e il riuso (16-26 novembre) e l0 hanno chiamato Eco ScratchPoi ho chiesto alla maestra Caterina dove volevano arrivare con questo progetto e lei mi ha detto che volevano dare ai bambini la possibilità di trovare soluzioni nuove per ridurre i rifiuti «E lo facciamo creando storie in cui i personaggi vengono costruiti con Scratch, il linguaggio di programmazione visuale con l’obiettivo di diffondere la competenza digitale nei ragazzi», ha detto la maestra Caterina. E in quella settimana i bambini della Primaria di Sigillo, con la maestra Caterina, hanno pensato a cosa fare con bottiglie, vasetti di yogurt e calzini spaiati invece di farne rifiuti e di farlo con lo storytelling digitale: «Qualche giorno dopo è stato emozionante vedere una bambina felice perché voleva mostrare a me e ai suoi compagni una cosa che aveva nello zaino: un portaoggetti fatto con una scatolina di cartone e un sonaglio creato con vecchie biglie e una scatola di plastica» ha detto la maestra Caterina. Se volete andare a vedere tutti i progetti realizzati in questi giorni li trovate sul sito del MIT: ci sono, ad esempio, i ragazzi del liceo Mercalli di Napoli che hanno giocato con le animazioni di Scratch e poi le hanno trasformate nel gioco “Oggi riduco io” dove bisogna scegliere tra bottiglie di plastica e brocche d’acqua volanti.

E a me, quando la maestra Caterina mi ha detto questa cosa che i bambini vanno a scuola per trovare soluzioni ai problemi, a me mi è piaciuta. E soprattutto questa cosa di voler usare un racconto, digitale, fatto dai bambini per risolvere i problema dei rifiuti a me mi era piaciuto. Che non è una materia di quelle che facevo io a scuola: «Le nuove tecnologie ci permettono di realizzare e condividere prodotti educativi che sono riproducibili e modificabili. E poi la narrazione lascia traccia emotive in ogni lettore ed è uno strumento che colpisce l’immaginario dei ragazzi» ha detto la maestra Caterina. E io le ho detto che io a scuola mi ricordo che “rifiuti e riciclo” non erano una materia, e nemmeno “Scratch” era una materia.

Poi sabato scorso, quando ci sono stato anche io, nella scuola della maestra Caterina i bambini hanno partecipato al Computer Science Education week (9-15 dicembre con due milioni di ragazzi coinvolti in tutto il mondo) con l’Hour of code, dove i bambini di Sigillo hanno usato le tecnologie e il codice per raccontare storie insieme al CoderDojo di Roma alla facoltà di ingegneria di RomaTre, con il CoderDojo di Bologna e Milano, con la scuola secondaria del Marco Polo di Fabriano.  A Sigillo i bambini hanno realizzato un’animazione con la Befana: cliccando sul suo sacco escono i loro desideri per l’anno nuovo. E però la cosa bella era che sugli schermi della lavagna di Sigillo c’erano insieme gli informatici, i bambini coi grembiuli blu, le maestre,  le professoresse, i banchi, i laboratori universitari. 

Poi abbiamo parlato di Africa, della mancanza di energia elettrica in alcuni villaggi e che i bambini lì devono tornare a casa, da scuola, prima che tramonta il sole e io gli ho raccontato la storia William Kamkwamba, che è stato il ragazzo che in un villaggio del Malawi ha catturato il vento e che con i pezzi di una bicicletta, con materiali raccolti in un deposito di rottami e alberi di eucalipto, ha creato un mulino a vento e ha portato l’energia elettrica in casa sua. E dopo aver sentito questa storia una bambina mi ha chiesto: ma perché quelli che fanno la pubblicità dei guerrieri invece di spendere i soldi con la pubblicità dei Guerrieri non portano l’energia elettrica dove c’è più bisogno così i bambini restano a scuola?

Allora alla fine ho ripensato a quello che mi ha detto la maestra Caterina, delle materie nuove che si studiano a scuola, degli strumenti nuovi che adesso usano i ragazzi , delle lavagne diverse da quelle che usavo io (mica tanto tempo fa eh) e mi è venuto in mente quello che ho letto una volta di una cosa che aveva detto un signore che si chiama Graham Brown-Martin, che nel 2004 aveva fondato Education without frontiers: «il mondo ci travolge e invece noi vietiamo i cellulari in classe e usiamo le nuove tecnologie per rafforzare contenuti e metodi di insegnamento di saperi ottocenteschi». Ecco ad esempio.

 


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