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Globalizzazione digitale

«Il vero potere è controllare la parola». Dialogo con Derrick de Kerckhove

di Marco Dotti

«Non è la prima mutazione antropologica subita dalla nostra civiltà, ma oggi», afferma Derrick de Kerckhove, «avviene su scala globale. Siamo passati dal solido al liquido, dall'era del punto di vista a quella del “punto di essere”. Ma non dobbiamo allarmarci: nuove forme di cooperazione globale si sono messe in moto»

Il fatto che l'ìnnovazione sia alla base del cambiamento culturale è opinione talmente condivisa da risultare, talvolta, come quei luoghi comuni che contengono molto buonsenso, ma lo annacquano nel senso comune. Cultura e intelligenza sono patrimoni sociali che si stanno modificando, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi e di questa mutazione – che tocca ogni aspetto della sfera cognitiva – va presa consapevolezza. Derrick de Kerckhove, sociologo di origine belga naturalizzato canadese, allievo di Marshall McLuhan, oggi docente all'Università Federico II di Napoli, da sempre si occupa di pratiche di collaborazione e intelligenza connettiva, ed è stato tra i primi a coniugare analisi dei media digitali e neuroscienze. Lo ha datto in lavori come Brainframes. Mente, tecnologia, mercato (Baskerville, 1992), La civilizzazione video-cristiana (Feltrinelli, 1995), La pelle della cultura (Costa & Nolan, 1996), La mente accresciuta (40k, 2014) e Psicotecnologie connettive (Egea, 2014). Con l'artista e curatore dello ZKM di Karlsruhe Freddy Paul Grunert, Derrick de Kerckhove sarà a Milano, mercoledì 4 marzo alle ore 19.00, presso la Mediateca di Santa Teresa in via della Moscova 28, per un incontro Meet the Media Guru focus, organizzato in collaborazione con Fondazione Cariplo, dedicato alle imprese culturali e creative. Meet the Media Guru è un format ideato da Maria Grazia Mattei per promuovere il confronto con i protagonisti internazionali del dibattito su innovazione e new media e festeggia il suo decimo compleanno.

L’informazione crea il nostro ambiente. Ci circonda e ci plasma. Dentro questo ambiente abbiamo forse necessità di un punto di presa. Il tatto: è diventato questo punto di realtà, o di presa, nella nostra “era digitale”?
Ho coeditato un libro, The Point of Being (Il punto di essere, Cambridge Scholar Press, 2014) precisamente per studiare la dimensione tattile del digitale e del mondo elettronico. Il punto di essere rovescia l’approccio visuale tipicamente rinascimentale del “punto di vista”. Invece di stare di fronte dello spettacolo, la realtà virtuale mi porta dentro lo spettacolo. Pero è solo virtuale. Il punto di essere è la sensazione fisica della mia presenza nel mondo, della mia intima partecipazione corporale con la vita. Questa sensazione è disponibile per tutti dal momento che ci si pensa. È profondamente tattile, però è stata occultata dall’impero dell’occhio che ha prevalso nella sensibilità occidentale.

Sappiamo che ogni mezzo (medium) regola le relazioni tra l’uomo e l’ambiente, ampliando e amplificando i sensi e, di conseguenza, generando esperienza. L’uomo si adegua al mezzo, anche fisicamente. Organizza corpo e spirito in funzione del mezzo. Oggi, lei che organizzazione vede per questo corpo e questa mente?
Entrambi. corpo e mente, sono estesi (augmented). Estensioni sensoriali, proiezione del corpo nella robotica e nel virtuale in forma di avatars (con nuove possibilità, per esempio sparire o volare), aumento della mente con l’ambiente cognitivo della rete, tutto si esprime dapprima come un'esternalizzazione complessiva delle nostre facoltà mentali e del nostro potere di azione nella teleazione. Però, i progressi velocissimi della robotica sembrano segnalare un prossimo staccamento delle estensioni corporee. Cominciamo a chiederci se anche la mente aumentata si staccherà dagli utenti per sfruttare una nuova e forse pericolosa autonomia. Un'interiorizzazione delle nuove strutture mentalì può succedere all’esternalizzazione delle nostre facoltà. Però, un processo parallelo potrebbe accadere nei campi della cognizione aumentata. L’ambizione dell’Intelligenza Artificiale, aggiungendo la simulazione delle emozioni, è precisamente quella di rendere il robot più o meno autonomi da tutto.

Rispetto alla prevalenza dei tablet e degli smartphone – secondo il Global Mobile Survey, l’Italia è prima in Europa nell’utilizzo di smartphone – e delle funzionalità touchscreen, che ci rimanda appunto alla tattilità…
Appunto. Le tecnologie interattive sostengono la partecipazione, la risposta, l’uso della mano nella ricerca e la produzione dell’informazione. Il touchscreen è un ossimoro, un piccolo paradosso perché porta il tatto là dove apparentemente non c’entra, ossia dentro il mondo visuale. Il ritorno dell’utente, immerso nel virtuale, torna a chiedere l'interfaccia manuale nella gestione dell’informazione. Dobbiamo anche capire che il ruolo del cursore sullo schermo interattivo è la traduzione tecnologica della funzione di ricerca cognitiva che si attua quando nello nostro pensiero puntiamo su qualche oggetto. Abbiamo infatti un cursore invisibile nella nostra mente, un cursore che “tocca” i bottoni neurologici del nostro immaginario. Più virtualmente viviamo, più necessitiamo la presenza e la prova del corpo. Questo è un fatto controevidente ma che va assolutamente capito.

Una recente ricerca ci dice che il 35% degli intervistati controlla il proprio smartphone entro 5 minuti dal risveglio, il 55% entro 15 minuti. Questi dati, solitamente, allarmano i giornalisti. Lei come li leggerebbe? (Mi riferisco in particolare all’interconnessione locale-globale che è al centro di tanti suoi lavori).
Non c’è niente di cui allarmarsi. La connessione permanente di tutti con tutti e tutto è la prima condizione di vita introdotta non solo dal digitale, ma dalla natura propria dell’elettricità.

Torna alla mente una predizione, del 1962, di McLuhan sul futuro dei media. Il prossimo medium, qualunque esso sia, scrivevae McLuhan, "€“potrebbe essere l'€™estensione della coscienza e includere la televisione come contenuto, non come ambiente, e la trasformerà in una forma d'€™arte. Un computer come strumento di ricerca e di comunicazione potrebbe potenziare il recupero di informazioni, rendere obsoleta l'€™organizzazione delle biblioteche, ripristinare la funzione enciclopedica dell'€™individuo e trasformarsi in una linea privata di accesso a dati rapidamente confezionati di natura vendibile"…
McLuhan ha fatto capire che alla base dei profondi cambiamenti in corso a partire dell’invenzione del telegrafo in avanti c'è stato l’elettricità che, secondo lui è tattile. Le connessioni elettroniche non sono propriamente “informazioni”, sono comandi. Il discorso piu rappresentativo dell’elettricità è il tweet, breva parola poco articolata per dare senso, fatta piuttosto per dare una scossa nervosa, un ordine. Intanto, se sento l'assoluto bisogno di vedere il mio smartphone appena sveglio, la ragione è perché la mia realtà cognitiva non è piu limitata all’interno della mia coscienza, ma si estende al mondo intero. La connessione mi riassicura sul fatto che sono sempre parte del mondo e che il mondo fa parte di me. La vera globalizzazione è questa.

Questa generazione always on costruisce però la propria identità, non solo la propria attestazione di presenza o la propria reputazione attraverso i social network. Crede che l’avvento degli algoritmi di lettura dei Big Data possa se non mutare l’approccio di questa generazione, allarmarla e allarmarci rispetto all’uso impersonale, meramente quantitativo, che si configura, non solo tanto nel marketing, quanto nel controllo biopolitico complessivo?
Di nuovo, se si trattava di allarmarci la gioventu always on l’avrebbe già fatto sapere. Invece hanno inventato Snapchat per nascondere i loro scambi di notizie, foto e video. Inoltre, i sondaggi rivelano che benché i ragazzi siano coscienti del fatto che ormai sono tracciabili ovunque, non si preoccupano troppo e pochi tra di loro usano metodi per nascondersi. Il fatto che i Big Data non ci minaccino veramente dà sostanza alla provocazione di Mark Zuckerberg quando diceva: “Privacy is over”. Si tratta di un cambiamento di civilizzazione in corso. Io vedo l’arrivo dell’era della trasparenza. Siamo passando della cultura dell’opacità, quella della lettera, della carta, dell’identità privata a quella dei Big Data, dell’inconscio digitale dove tu non sai tutto ciò che si sa o che si può sapere su di te. Come puoi non riciclare rifiuti o non pagare le tasse quando si sa immediatamente che non l’hai fatto? La buona notizia è che si puo sperare nel ritorno del senso dell' onore proprio grazie a questa cultura della trasparenza.

Il suo intervento del 4 marzo a Meet the Media Guru toccherà due temi: innovazione e cultura. Ci può anticipare qualcosa di questo suo intervento?"
È ormai un fatto riconosciuto che il PIL nazionale dipende o almeno corrisponde strettamente alla proporzione di creativi presenti nella forza-lavoro complessiva. Nel 2010, l’Italia occupava la 34ª posizione su 39 paesi paragonati, con il 14% di creativi in tutte forme d’impiego contro il 30% dell’Olanda, il 29% della Finlandia e meno del 40% per gli Stati Uniti. Un'importante ricerca (Richard Florida, Creativity Group Centre) aggiunge: “Questa classe creativa è composta da giovani brillanti e talentuosi: professionisti, scienziati, dirigenti, musicisti, medici, scrittori, stilisti, ricercatori, avvocati, giornalisti, designer, imprenditori e così via”. La cosa la piu urgente al fine di collegare la cultura all’innovazione è dare modo ai giovani Italiani di realizzare i progetti innovativi che abbiano familiarità con le nuove tecnologie. In Italia, va superato l’atteggiamento dei giovani verso i dirigenti di governo, della Pubblica Amministrazione e delle banche. Troppa diffidenza. Perché, invece, non provare a immaginare davvero strategie che mettano Stato, banche, comuni e PA insieme per veramente una nuova spinta alla creatività, alle start-up, al benessere produttivo di questi giovani ? A partire dei ultimi dati, risalenti al 2014, voglio presentare un progetto concreto per favorire lo sviluppo di una cultura creativa focalizzata sui giovani. I giovani sono i più trascurati nel sistema socio-politico Italiano, ma sono anche quelli più facilmente coinvolgibili.

In Inghilterra, 1 bambino su 8 avrebbe pronunciato la prima parola, magari dicendo il classico “mamma”, ma non rivolgendosi a lei. Rivolgendosi, piuttosto, a un medium (tablet o smartphone). Per i bambini, muovere un dito su uno schermo, aprire finestre, stabilire connessioni, inserirsi in reti è diventato naturale. Siamo davanti a una profonda mutazione antropologica che deve allarmarci o anche questo è il segno di una inevitabile riconfigurazione del nostro ambiente/orizzonte culturale?
Un video, oramai famoso, postato su YouTube, ritrae una una bimba di 1 anno che si arrabbia contra una rivista di moda poiché le fotografie non rispondono al suo tentativo di muoverle come accadrebbe invece sul suo iPad. Vale aggiungere che allarmarci non serve, serve però capire dove stiamo andando. Non è la prima mutazione antropologica che l’umanità ha vissuto, certamente, adesso, però, questa mutazione è globale.

Questa riconfigurazione “touch” dell’era digitale inciderà positivamente sulla plasticità neurale delle nuove generazioni? Sulla loro mente e sul loro corpo, intendo…
Nei miei interventi pubblici prima di Natale suggerivo ai genitori di offrire una piccola e poco costosa stampante 3D ai loro figli per stimolarne la creatività. Una creatività non solo pratica, ma anche mentale. La stampante 3D rinforza la tattilità del nostro rapporto con la creazione, offrendo il volume alla nostra inventività. Potrebbe iniziare da qui una metamorfosi epistemologica. Si tratta di pensare in 3D, di partecipare nello spazio mentale creativo. Ricordo ancora il mio stupore davanti i primi lavori di Warren Robinett nel laboratorio HMD all’università di North Carolina sotto la direzione di Henry Fuchs nell’inizio degli anni '90. Avevano creato un software di realtà virtuale che permetteva all’utente di occupare lo spazio tri-dimensionale proprio durante la sua creazione. Ci vedevo le precondizioni di un cambiamento cognitivo che sta avvenendo solo adesso con la larga diffusione della cultura 3D.

Che destino vede per la scrittura? Toccare non è scrivere e scrivere, forse, non è più così necessario. Eppure, il nostro continua a essere un “cervello che legge” (e scrive). O è già diventato altro?
Il destino della scrittura e della lettura su carta è di rinforzare la nostra identità, le nostre caratteristiche personali. Non si perderà mai, perché un giorno le grandi istituzioni educative capiranno che solo la pratica individuale della lettura e della scrittura concede un vero potere sul linguaggio. Va bene toccare e by-passare il linguaggio, però il vero potere dell’individuo, anche dell'individuo immerso nella connettività della rete, è la misura del suo controllo della parola e della gestione del discorso nella sua mente. Anche se è vero che il cambiamento epocale in corso non rispetta la privacy, la nostra trasparenza non elimina le nostre capacità né il talento individuali. Per gli individui il controllo del linguaggio è capitale.

@oilforbook


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