Graphic journalism

Lamiere, viaggio a Deep Sea. Lo slum ai margini dell’umano

di Anna Spena

Serve riportare una storia di questo tipo? Si sono chiesti Danilo Deninotti, Giorgio Fontana e Lucio Ruvidotti, gli autori di Lamiere, la cronaca di un viaggio in uno dei peggiori slum di Nairobi. «Da un lato certamente sì, perché aiuta a comprendere nel concreto una dimensione esistenziale e sociale lontana dalla nostra — preservando, come diceva Alessandro Leogrande, a cui il testo è dedicato, "l'unicità di ogni ferita"», dicono gli autori

Cosa sappiano noi dell’Africa? Cosa consociamo del Kenya? Come ci immaginiamo Nairobi, la capitale del Paese? E poi ancora che cos’è realmente uno slum? Perché esistono? Gli autori Danilo Deninotti, Giorgio Fontana e Lucio Ruvidotti hanno fatto un viaggio in queste domande per provare a spiegare la genesi della loro formulazione. Ne è nato un graphic novel – bellissimo – Lamiere (Feltrinelli Comics).

Un libro che è la cronaca di viaggio in uno dei peggiori slum di Nairobi, la capitale di uno dei Paesi africani più avanzati ma con i maggiori contrasti sociali del continente. A Nairobi oltre la metà della popolazione abita nelle baraccopoli. Tuttavia, invece di raccontare le baraccopoli più estese, Deninotti, Fontana e Ruvidotti hanno scelto Deep Sea: un luogo dalla povertà estrema al di sotto della dignità umana, emarginato dal quartiere circostante e sottoposto a incendi e sfratti, ma con un fortissimo spirito di resistenza locale.

Facendo base nel convento francescano di Nairobi, gestito da due frati in prima linea nella lotta alla povertà urbana e a due passi dallo slum, gli autori si sono uniti a una missione umanitaria dell’unica Ong attiva a Deep Sea, Rainbow For Africa.

La condizione femminile, l’igiene, le malattie, lo stato dell’infanzia, l’economia di sussistenza, la politica informale, la fame, i rapporti sociali, la famiglia. Tutta la vita nello slump. «Queste persone vivono in un limbo sociale e politico. Vengono usate come capro espiatorio o come materiale da propaganda», scrivono gli autori. «Vengono sgomberate quando fa comodo per mostrare il pugno duro del governo contro "la criminalità". Vengono fotografate e citate come esempi di resistenza (anche da noi). I loro corpi subiscono ogni sorta di violenza reale e simbolica. E nessuno di preoccupa di rimuovere le cause che l'hanno generata».

Com’è nato Lamiere?
Nel marzo 2017, la nostra amica Eloisa Franchi ci suggerì di documentare a fumetti una delle iniziative dell'ONG per cui è medico e ufficio stampa, Rainbow for Africa. Noi tre avevamo già pubblicato alcuni piccoli reportage grafici su temi sociali per Pagina99, grazie ad Alessandro Leogrande — cui Lamiere è peraltro dedicato. Pochi mesi dopo, nacque la divisione comics di Feltrinelli e fu affidata a Tito Faraci. Tito era già stato editor a Topolinodi Giorgio e Danilo, e ci chiese se avessimo qualche idea per un lavoro di giornalismo a fumetti ad ampio respiro. A questo punto fu naturale proporre un reportage sull'attività di Rainbow for Africa, nel dettaglio in uno slum di Nairobi.

Quanto è durato il vostro viaggio?
Nove pienissimi giorni. Siamo arrivati in Kenya il 9 marzo 2018 e siamo ripartiti il 18 dello stesso mese. Abbiamo documentato l'attività medica di Rainbow for Africa a Deep Sea e le modalità di aiuto "non assistenziale" del nostro ospite, frate Ettore Marangi. Abbiamo anche visitato altri due slum di dimensioni maggiori, Kangemi e Mathare.

Con quali contraddizioni vi siete scontrati una volta arrivati in Africa?
Oltre ai "sensi di colpa di chi dorme al pulito", come diciamo nel fumetto, una grossa contraddizione è stata proprio la non-neutralità del nostro sguardo. Era anche la nostra prima volta in Africa, del resto. Avevamo un concetto operativo di slum, quello dell'Onu, e delle idee — anche percettive, come i "tipici colori abbaglianti" — sul Kenya. Tutto è stato ampiamente modificato o sconfessato dall'esperienza diretta. Soprattutto, condividere la quotidianità dello slum ha portato a interrogarci sul valore del racconto in quanto tale. Serve riportare una storia di questo tipo? Da un lato certamente sì, perché aiuta a comprendere nel concreto una dimensione esistenziale e sociale lontana dalla nostra — preservando, come diceva Leogrande, "l'unicità di ogni ferita". Dall'altro, raccontare e basta è insufficiente senza una chiamata all'azione nel lettore. Anche per questo abbiamo voluto evitare ogni pietismo, che alla fine rischia di essere auto-assolutorio.

Cosa non capiamo dell’Africa?
Innanzitutto che è un continente, e dunque un mondo con enormi diversità al suo interno: parlare di "Africa" rischia di farci dimenticare la pluralità di società, tradizioni e modi di vivere che essa contiene. Nairobi, ad esempio, è una città molto grande e piuttosto ricca; ma dove gran parte della popolazione vive proprio negli slum.

Ciò detto, e limitatamente alla nostra esperienza, forse lo sguardo "bianco" è sempre pronto a inquadrare tutto nella categoria della vittima. Certo i bambini di Deep Sea sono vittime di una situazione insostenibile, sarebbe sciocco non ricordarlo; ma in quella bidonville abbiamo anche visto esempi straordinari di resistenza e di autogestione comunitaria. Inoltre, magari abituati a una facile indignazione, spesso ci sfugge il problema strutturale comune a tante situazioni di disagio. Perché si perpetrano gli slum, ad esempio? Nel fumetto cerchiamo di dare una risposta anche a questa domanda. È fondamentale, altrimenti ci si ferma ogni volta al livello dell'emergenza.

Perché avete scelto lo slum di Deep Sea?
Era quello dove operava Rainbow for Africa, e a noi andava benissimo anche per altri tre motivi: è uno slum particolarmente piccolo, quindi più facile da girare e mappare; è fuori dai radar della grande informazione (non è Kibera, per intenderci); ed è particolarmente mal messo. (In effetti, un'altra cosa che abbiamo imparato strada facendo è stata che ci sono bidonville e bidonville).

Raccontatemi lo slum
Deep Sea è incassato in una piccola valle, sul fondo della quale scorre il torrente Mathare. Le abitazioni sono in lamiera, più o meno delle stesse dimensioni, e quasi tutte in affitto. I servizi igienici sono a pagamento, in comune, e gestiti da un centro confessionale, la Consolata. I pavimenti delle baracche sono privi di difesa dalle intemperie, salvo qualche sacco di sabbia disposto alla base della costruzione: quando piove, si dorme spesso su materassi bagnati. Le persone vivono sulla soglia di sussistenza. Ma non si creda che lo slum sia un luogo di mera disperazione: è una piccola comunità, e come ogni comunità conosce molti momenti di lavoro, svago, gioco e auto-organizzazione.

C’è una storia, tra quelle che avete intercettato, che vi ha segnato in modo particolare?
Forse le storie di Zena e di Fatouma (che nel fumetto purtroppo non compare, per banali ragioni narrative). Sono le due donne con cui frate Ettore ha iniziato a collaborare per garantire un sostegno ai bambini di strada, il cui destino è molto spesso terribile. È straordinario che in una condizione di miseria ci siano persone che si prodigano per aiutare gli altri, e per farlo senza — come già dicevamo — modalità di mera assistenza: ma cercando di sviluppare nell'altro una propria autonomia. E parlando con Zena abbiamo capito una volta di più il ruolo fondamentale delle donne nel nostro racconto: figure forti, carismatiche, molto rispettate.

Secondo voi il graphic journalism che valore aggiunto ha rispetto al reportage classico?
Il vantaggio essenziale del fumetto è la possibilità di restituire le immagini degli eventi con un surplus di interpretazione. Una fotografia è molto più nuda, e forse anche più violenta, da questo punto di vista. Il fumetto invece consente una rilettura ulteriore, un aggiustamento, la messa in prospettiva, la caricatura, l'uso narrativo del colore (e su quest'ultimo punto Lucio ha fatto un grosso lavoro ndr). Naturalmente è indispensabile conoscere la grammatica del linguaggio e verificare che sia adatto al tema scelto. Noi non abbiamo scelto il fumetto per ragioni modaiole, ma perché crediamo fermamente nel valore conoscitivo di questo mezzo.

Danilo Deninotti (Mondovì, 1980) ha pubblicato la graphic novel Kurt Cobain. Quando era un alieno e Wish You Were Here. Syd Barret e i Pink Floyd. Scrive storie per il settimanale Topolino.

Giorgio Fontana (Saronno, 1891) è scrittore, giornalista e sceneggiatore. Ha pubblicato cinque romanzi (l’ultimo è Un Solo Paradiso), un saggio su berlusconismo e identità italiana (La velocità del buio) e un reportage narrativo sugli immigrati a Milano (Babele 56). Con il romanzo morte di un uomo felice ha vinto il premio Campiello 2014. Anche lui sceneggia storie per Topolino.

Lucio Ruvidotti (Milano, 1986) è fumettista grafico e disegnatore. Ha collaborato al libro a fumetti la ricotta, ispirato all’omonimo film di Pasolini. È tra i fondatori del collettivo di autori indipendenti “Cargo” e ha firmato la graphic novel Miles. Assolo a Fumetti (Edizioni BD 2018).


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