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Andy Hillier

Brexit e Terzo Settore: che cosa succederà?

di Cristina Barbetta

Non è chiaro l’impatto che la Brexit avrà sul non profit, spiega a Vita Andy Hillier, direttore di Third Sector, testata leader del settore in Gran Bretagna. Ci potrebbe per esempio essere un peggioramento della situazione economica e sociale nel Paese. Ma per Hilliard la Brexit potrebbe essere anche un’opportunità per il terzo settore di finanziare iniziative prioritarie per la Gran Bretagna, come aiutare le regioni più povere, dato che lo Uk non dovrà più contribuire al budget dell’Ue

Sono passati meno di 20 giorni da quando il Regno Unito è uscito dall’Ue. Era il 31 gennaio 2020. Subito dopo il Brexit day il Paese è entrato nel periodo di transizione (il cosiddetto transition period ), durante il quale negozierà con l’Ue, ed entrambe le parti dovranno decidere i termini della loro futura collaborazione. Durante questo periodo, che terminerà il 31 dicembre 2020, la legge europea continuerà a essere applicata ai cittadini e alle organizzazioni dello Uk.
Che cosa succederà dopo? Quale sarà l’impatto della Brexit sul terzo settore britannico? La situazione nel lungo periodo non è chiara, molti sono gli interrogativi, e ci potrebbe essere un peggioramento della situazione economica. Ma la Brexit potrebbe essere anche un’opportunità per il sociale, spiega a Vita Andy Hillier, direttore di Third Sector, la testata leader per il non profit e il volontariato britannici «che ha sviluppato un’invidiabile reputazione per il giornalismo indipendente». Prima di diventare direttore, nel 2016, Hillier ha ricoperto il ruolo di caporedattore di Third Sector, dove lavora dal 2011.

Quali saranno gli effetti della Brexit per quanto riguarda i rapporti tra Ue e Regno Unito nel settore sociale?
Penso che sarà molto difficile vedere in un tempo molto breve un effetto molto chiaro della Brexit. Negli ultimi 3-4 anni abbiamo cercato di capire quali avrebbero potuto essere le conseguenze della Brexit sul settore delle charity dello Uk, ed è veramente difficile cercare di capire quale impatto avrà, perché la maggior parte del settore delle charity dello Uk opera prevalentemente su questioni inerenti il nostro Paese e non collabora con gli Stati dell’Ue. In Gran Bretagna siamo più preoccupati del più ampio quadro economico e delle conseguenze della Brexit per lo Uk. Ci preoccupa anche quali effetti il gap (economico, legislativo, ndr) potrebbe avere di conseguenza sul settore delle charity dello Uk. Per esempio se la Brexit porterà a un peggioramento economico, questo porterà a livelli più alti di disoccupazione, e questi a loro volta porteranno a un maggior numero di homeless, che porteranno a loro volta livelli più alti di povertà. Queste sono questioni che il settore del non profit dello Uk sta davvero cercando di affrontare e contrastare da quasi un decennio. Nel 2008-2009 c’è stata la crisi finanziaria e il governo ha quindi implementato una vasta gamma di misure di austerità. La cosa essenziale è che abbiamo bisogno di un’economia forte per affrontare queste questioni sociali molto difficili. E la grande preoccupazione nel Regno Unito è: avremo effettivamente un’economia forte?

Che conseguenze avrà la Brexit sulle persone disagiate?
Stiamo cercando di gestire un sistema chiamato credito universale (universal credit): il governo paga i costi per le necessità di base delle persone con basso reddito o senza lavoro. Ciò sta creando problemi per chi fa affidamento sul denaro da parte del governo: queste persone dipendono da questo credito per compensare la perdita di salario e ricevere sussidi. La grande domanda è: con la Brexit ci saranno più persone che dovranno accedere al sistema del credito universale perchè l'economia non sarà forte, e ci sarà più insicurezza e probabilmente più perdite di posti di lavoro? Vedremo più gente nello Uk vivere sotto o vicino alla soglia di povertà? In Gran Bretagna ci sono 14 milioni di persone in povertà. È un numero grandissimo e il settore del non profit del Regno Unito deve sostenere queste persone che stanno affrontando la crisi. Un'altra riflessione sulla Brexit riguarda anche la forza lavoro, perché nel Regno Unito alcune organizzazioni dipendono in modo molto consistente da staff europeo. Per esempio nel settore dell’assistenza c’è una percentuale piuttosto alta di persone che provengono da Paesi dell’Ue. Sarà quindi più difficile per lo Uk trovare persone che facciano certi tipi di lavoro? E’ un’altra domanda che il terzo settore ha esaminato e ha cercato di affrontare.

Se la Brexit porterà a un peggioramento economico, questo porterà livelli più alti di disoccupazione, che causeranno un aumento del numero degli homeless, che a loro volta porteranno livelli più alti di povertà

Andy Hillier, direttore di Third Sector

La Brexit avrà un impatto su chi lavora in queste organizzazioni e non è di nazionalità britannica?
Potenzialmente potrebbe essere così, ma nessuno conosce il futuro delle persone che vengono nello Uk. Siamo molto dispiaciuti per quello che la Brexit potrebbe rappresentare per tutti coloro che vivono in Gran Bretagna e sono integrati. Il governo dice che non cambierà nulla per chi ha vissuto nel Regno Unito per un lungo periodo e ha i documenti giusti. In futuro, se ci sarà uno skills gap in aree particolari, consentiremo a persone che vengono da Paesi dell’Unione europea o da fuori l’Eu di venire nello Uk? C’è mancanza di chiarezza e di dettagli a questo proposito. Avremo carenza di assunzioni per alcuni ruoli? C’è timore che questo succeda ma è un punto di domanda.

Ha delle aspettative per il settore non profit per quanto riguarda le negoziazioni tra l’Ue e lo Uk nel “transition period”?
Nello Uk pensiamo che il terzo settore non sia stato considerato dal governo in molte discussioni pubbliche e che non sia stato considerato il ruolo che avrà in futuro. Un paio di anni fa il governo ha prodotto ogni sorta di documenti riguardo a certe industrie e settori, ma non per il terzo settore. L’NCVO (Il Consiglio nazionale per le organizzazioni di volontariato) sta facendo probabilmente gran parte della ricerca sul tema e sarebbe una buona idea avere la sua opinione su ciò che pensa che possano essere le possibili implicazioni della Brexit. Nel nostro settore non sappiamo quale sarà l’impatto, perchè è meno chiaro rispetto per esempio al settore economico, dove c’è stata più discussione. Quello che dobbiamo cercare di fare è supportare e proteggere il terzo settore in questo periodo molto difficile per noi. E il governo quindi deve iniziare a pensare a come aiutarci.

Il Regno Unito come utilizzava i fondi europei?
In gran parte per supportare le aree povere. Il governo ha fatto una sorta di promessa: mantenere quel livello di finanziamenti. Lo scorso dicembre, prima di Natale, abbiamo avuto le elezioni generali in Gran Bretagna. Molte persone che provenivano da aree poco agiate e che votavano tradizionalmente il partito laburista hanno votato per i conservatori, supportando il governo. Boris Johnson ha quindi fatto una promessa molto chiara a queste persone, dicendo che il governo avrebbe aiutato le aree meno agiate del Paese, da cui questi nuovi elettori provenivano. Il governo ha promesso che ci sarà il Uk Shared Prosperity Fund, un nuovo finanziamento che sostituirà quelli europei a partire dal 2021. Quindi quando usciremo dall’Ue in teoria quei livelli di fondi saranno mantenuti, ma di fatto non ci sono informazioni concrete in merito. Queste aree meno agiate che beneficiavano dei finanziamenti europei potrebbero non continuare a ricevere questi fondi nello stesso modo, quindi potenzialmente la Brexit potrebbe portare a un minore stanziamento di fondi per le regioni più povere dello Uk.

Pensa che le organizzazioni non profit dello Uk non potranno più sviluppare progetti in Europa o con l’Europa?
Non so quali effetti avrà la Brexit a questo proposito ma non ho visto negli ultimi anni molta collaborazione tra lo Uk e associazioni europee su progetti europei. Fino a 10 anni fa c’erano più progetti transfrontalieri ma ora sono diventati meno comuni. Ci sono molte persone in Gran Bretagna che vorrebbero continuare a collaborare con organizzazioni europee, e non diventare parte di una nazione isolata.

La Brexit è una buona opportunità per costruire comunità forti in Gran Bretagna e investire nelle aree meno agiate. Se non metteremo più il nostro denaro nella cassa dei fondi europei significa che potremo finanziare progetti nello Uk

Andy Hillier, direttore di Third Sector

Come vede il futuro del terzo settore dopo la Brexit?
Vorrei infondere ottimismo al non profit britannico: la Brexit è una buona opportunità per costruire comunità forti nello Uk e investire nelle aree meno agiate. Negli ultimi 10-15 anni non c’è stata una grande quantità di investimento, particolarmente nelle comunità meno agiate, e ora in teoria abbiamo l’opportunità di avere più controllo sul nostro destino, nel senso che contribuiremo meno al budget europeo e potremo soddisfare i bisogni di coloro che sono in difficoltà. Se non metteremo più il nostro denaro nella cassa dei fondi europei – il denaro che è distribuito in tutta Europa- significa che potremo iniziare a focalizzarci su come finanziare progetti nello Uk, che sono una priorità per noi. Quindi potenzialmente ci potrebbero essere più finanziamenti che vanno al Regno Unito.

Quanto denaro ha dato il Regno Unito all’Unione europea, e quanto ne ha ricevuto indietro?
Secondo la BBC, lo Uk è il secondo maggiore contribuente netto dell’Unione europea. In altre parole contribuisce al budget dell’Ue più di quando riceva indietro dall’Ue. Nel 2017 il Regno Unito ha dato all’Ue 7,43 miliardi di euro (equivalenti a 6,55 miliardi di sterline). Quindi, in teoria, se la Gran Bretagna non contribuirà più con queste altissime somme di denaro alla cassa dei fondi europei ciò significa che avrà più risorse da spendere su questioni che riguardano il Paese. Tuttavia, c’è molto disaccordo nello Uk su quanto meglio il Paese starà economicamente una volta che completerà la sua separazione dall’Ue.

Pensa che questa situazione potrebbe promuovere creatività nel creare nuove imprese sociali?
Credo che questo processo sia già in atto nel nostro Paese, che è in prima linea nel campo delle imprese sociali e dell’investimento sociale. E ritengo che il settore sia molto orgoglioso di come negli ultimi 10 anni è stato in grado di sviluppare questo modello. Penso che questo processo crescerà nello Uk, dove le grandi imprese stanno cercando di sviluppare la Corporate Social Responsibility (Responsabilità Sociale d’Impresa). Tradizionalmente le imprese hanno avuto lo scopo di fare quanto più denaro e profitto possibile, ma ora stanno sempre più cercando di posizionarsi come buoni datori di lavoro, buoni per quanto riguarda la differenza che stanno facendo e il contributo che stanno dando alla società nel suo complesso. Anche le imprese sociali stanno crescendo, con organizzazioni dinamiche e giovani che cercano di trovare soluzioni alle difficili sfide presenti.

Una considerazione finale?
Ci sono stati tre anni di discussioni nel Regno Unito a livello politico, e il terzo settore non è stato preso in considerazione. Aiutare coloro che sono in difficoltà dev’essere il cuore di tutto il processo di transizione, in modo che queste persone non vengano lasciate indietro. Questo è ciò che normalmente assicuriamo. Il governo ha fatto delle promesse in questa direzione. Qualunque accordo il governo raggiunga, non penalizzerà le comunità meno agiate. E la gente otterrà il supporto di cui ha bisogno. Penso che abbiamo bisogno di ottimismo nello Uk. Dopo tutte queste discussioni dobbiamo davvero iniziare ad affrontare il momento presente.

Foto di apertura: Dimitry Anikin/Pexels


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