Virginio Colmegna

Il sociale riscopra la spiritualità per tornare a cambiare il mondo

di Riccardo Bonacina

Abbiamo una rivoluzione culturale da fare, dobbiamo recuperare il gusto di una politica radicata nell'etica e nel futuro. Ci sono due partite fondamentali su cui impegnarsi: salute ed educazione. A fine settembre presenteremo un'associazione di associazioni dal nome significativo “Prima la comunità”

Don Virginio Colmegna da tempo sta meditando ogni mattina un paragrafo dell’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ che quest’anno compie 5 anni. «È un’enciclica che ci offre anche un’invasione dei sentimenti oggi così corroborante perché il Covid rischia di farci inaridire. Siamo tutti rannicchiati a difendere l’esistente senza capire che dobbiamo riaprirci, dobbiamo aprire le finestre della nostra anima, del nostro cuore e della nostra mente. L’enciclica sin dalla prima pagina, se non siamo come zombie, ci fa sobbalzare con questa frase “La nostra casa comune è come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Una frase che mi ripeto spesso».

Oggi però, don Virginio, alla lettura della Laudato si’ ha aggiunto il testo della Catechesi che ieri Papa Francesco ha fatto in occasione dell’Udienza generale in cui ha detto: “Da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci.” Un invito chiaro e forte.

Colmegna: Una catechesi straordinaria, l’ho meditata questa mattina e colpiscono i riferimenti al Catechismo della Chiesa cattolica e al Vangelo dentro cui il Papa radica la sua riflessione. Si respira una tensione spirituale immensa, io insisto su questo tasto più vado avanti. È il fermento etico e spirituale che ci rende insopportabile l’ingiustizia e che ci mobilita per perseguirla. È questo fermento che ha dato vita anche alla grande innovazione del Terzo settore a metà anni Ottanta, non dimentichiamolo. Un Terzo settore che oggi rischia di schiacciarsi sulla gestione dei servizi, con tutta la tensione e pesantezza della sopravvivenza che ci spinge ad essere rete per resistere. Occorre invece l’impeto della profezia che ha le sue radici, sempre, nella dimensione spirituale. La radice spirituale è il presupposto non solo per una vita personale piena e una vita collettiva felice, ma anche per costruire anche una dinamica sociale e politica. È, mi pare un invito a finirla con la cultura dell’individualismo compiuto e con il paradigma tecnocratico.

È il fermento etico e spirituale che ci rende insopportabile l’ingiustizia e che ci mobilita per perseguirla.

Poche settimane fa su Vita.it, Carlo Borgomeo ha scritto che dalla crisi non si esce se non ribadendo “la centralità della questione sociale e, quindi, dal riconoscimento del ruolo del Terzo settore che resta il principale promotore di concrete forme di cittadinanza e di comunità”. D’accordo?

Colmegna: Negli ormai 51 anni di lavoro sociale ho visto crescere il Terzo settore grazie a una capacità innovativa e al continuo riaffermare come il valore della gratuità sia elemento fondamentale capace di disegnare nuovi equilibri anche sociali. Ora, il rischio è quello di essere spinti nell’angolo dei testimoni, testimoni di bontà; ci danno premi e pacche sulle spalle, dopo di che sembra che siamo incapaci di prendere in mano le istituzioni rigenerandole, per loro chiusura e nostre timidezze. Non possiamo neppure diventare gestori dell’emergenza Il sociale, invece, deve sfidare la politica, con il suo sguardo sul futuro, con le sue utopie, con il senso del limite che la pratica sociale ti fa imparare. Ogni giorno medito la Laudato si’ e mi pare che tutta la tensione etica che nasce da quelle parole vada tradotta in capacità di generare nuova politica e nuove istituzioni, è triste vedere in questo periodo come tutto si rannicchia e si tende a diventare tutti indifferenti, pensiamo ai morti nel Mediterraneo. La nuova politica deve essere paziente, competente, sapiente come la carità. Bisogna far nascere una nuova classe dirigente.

Quando abbiamo inventato Reti della carità abbiamo proprio ragionato sul rischio di tutte le realtà che nascono dal basso, veri laboratori di umanità, fossero sottratti all’esigenza di essere anche portatori di senso e fossero rinchiusi nell’aspetto gestionale o della testimonianza. Invece queste realtà, hanno questa carica etica ed evangelica che va alimentata nella contemplazione, nella capacità di riflessione, nella Laudato si’ c’è questo invito che è invito all’economia della bellezza. È il criterio della bellezza che ci deve animare, solo così potremo cambiare il mondo. Bellezza dobbiamo proporre soprattutto ai giovani preda della preoccupazione per il futuro che logora e mangia la loro speranza. La pandemia che stiamo vivendo è in sostanza una domanda di senso. Sentire i talk show della sera annoiati, pesanti, volgari, fa capire come ci sia una deprivazione di speranza che uccide la vera politica, si mettono in scena solo misere occupazioni di spazio.

Don Virginio invoca un bel cambiamento anche per il Terzo settore…

Colmegna: Abbiamo una rivoluzione culturale da fare, ma riusciremo a farla se riusciremo a custodire e coltivare i sentimenti più veri, e riusciremo a custodirli se saremo capaci di silenzio, di contemplazione. Ci vogliono dei veri , di esercizi spirituali perché occorre fare i conti con se stessi; l’interiorità non è intimismo è scoperta e difesa della vita. Niente ci è indifferente, ma non ne usciamo rispondendo a Musumeci, ne usciamo solo se avremo un pensiero e una visione diversa e capace di attrattiva. Dobbiamo recuperare il gusto della politica. Ci sono, come suggerisce Borgomeo, due partite fondamentali: salute ed educazione.

Per questo stiamo per presentare una nuova associazione di associazioni il cui nome dice già molto “Prima la Comunità”, il suo programma? “Dalla sanità alla salute”, bisogna che il territorio pulluli di integrazione tra sociale e sanitario, pulluli di iniziative che nascano dal basso, dalla pratica della cura. Tutti oggi dicono che manca la medicina territoriale, vero, ma innanzitutto manca che il territorio sia una comunità capace di prendersi cura. Per questo la più grande partita è quella dell’educazione. Così è nata l’idea di questa associazione di associazioni che lanceremo a fine settembre che sta già raccogliendo una cinquantina di realtà. La scienza ci dice che i determinanti sociali sono decisivi per la salute, ma i determinanti sociali non sono cose generiche o astratte, sono i valoro della comunità locale, i valoro che una comunità decide di condividere. La comunità locale deve pullulare di fraternità, di accoglienza. Il sud è più vivo da questo punto di vista. Tutto questo movimento che c’è e che vediamo si disperde nella sola testimonianza oppure, scossi come siamo dall’emergenza, si muove nell’ottica del cambiamento e dell’innovazione? Queste sfide hanno bisogno di una soggettività nuova, anche politica.

Martini diceva che la carità avvolge la giustizia, per questo la comunità che accoglie è il pilastro del nuovo welfare e dell’innovazione. E, in un dialogo che non dimenticherò mai, mi fece questo invito: “Fai parlare la gratuità”, ovvero bisogna andare oltre il servizio per abbracciare l’altro non solo il suo bisogno. Possibile che non ci sia altro da inventare che non i protocolli delle gare d’appalto? Bisogna trasformare l’emergenza in urgenza. C’è bisogno di slanci, di un Terzo settore come soggetto politico capace di star dentro il vivere di tutti e di ogni giorno. C’è bisogna non di un lobbismo per difendersi ma di un affondo spirituale, e il Papa ci apre un’autostrada. Ascoltiamolo, meditiamolo.


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