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Nicolò Cafagna

La Francesina ed io, racconto dissacrante sulla disabilità

di Antonietta Nembri

Nel libro “Diverso da chi? Storie a rotelle e ironia senza freni” l’autore, affetto da distrofia di Duchenne conduce il lettore in un viaggio a tratti anche spassoso nella sua vita. Da protagonista abbatte un bel po’ di tabù grazie a una verve ironica e soprattutto autoironica che sorprende

L’ironia è un’arma. Uno strumento che a chi lo sa maneggiare bene dona la capacità di far sorridere e allo stesso tempo pensare, riflettere. E Nicolò Cafagna, monzese, classe 1983 di ironia, ma soprattutto di autoironia ne possiede tanta. E di quella graffiante per giunta. Il suo libro “Diverso da chi? Storie a rotelle e ironia senza freni” (AnankeLab, 2020, p. 222, 15 euro) è infatti un invito a viaggiare nella sua vita e nella sua malattia: la distrofia muscolare di Duchenne. Una “compagna di vita” implacabile che fin dalle prime pagine impariamo a conoscere come “la Francesina”, il soprannome che una sua ex fidanzata diede alla malattia «è l’unica cosa che non ho inventato io», confessa con un filo di voce.

Base del libro sono i suoi scritti, pubblicati nella rubrica che cura su Il Cittadino di MB. Cafagna è infatti giornalista e blogger (dal 2015 cura un blog per Il Fatto Quotidiano online). Al giornalismo Nicolò Cafagna (nella foto) arriva dopo aver perso il suo lavoro da impiegato nel 2009. Rivisti e armonizzati nei capitoli del libro i testi sono un percorso che mette a nudo, nel senso letterale del termine, la vita di una persona con una malattia altamente invalidante con descrizioni, riflessioni, commenti graffianti e capaci di far ridere e sorridere.
Nella prefazione Marco Cappato sottolinea: “Nicolò pensa, scrive, ironizza, s’incazza e sorride spiazzando quel residuo di pietismo che anche il più cattivista di noi ospita nel proprio animo al cospetto di una malattia così implacabile”.

L’ironia è la tua cifra in tutto il libro, non è solo un espediente letterario?
Esatto, perché con l’ironia le persone si avvicinano di più al problema. Ironizzando sono portato a fare battute, passa tutto su un altro piano e questo credo aiuti ad accettare la persona con disabilità.

Ci sono dei passaggi molto graffianti, hai già avuto dei feedback per esempio sul blog o per la tua rubrica sul tuo modo di affrontare la realtà?
Devo dire che i feedback che ho ricevuto e sto ricevendo mi emozionano sempre più, non riesco a capacitarmi: alcuni genitori lo fanno leggere ai figli e, addirittura, professori che vogliono leggerlo in classe. Questo mi rende davvero contento del lavoro che ho fatto, almeno una volta nella vita…

Al di là di questo ultimo periodo dovuto alla pandemia, quella che racconti è una vita decisamente intensa – con i suoi limiti -, fatta di incontri, amici e lavoro. Anche quando parli di abbattimento delle barriere le prime che vuoi abbattere non sono semplicemente fisiche…
Di sicuro c’è un problema culturale che fa da tappo. E per quanto riguarda le barriere per le persone con la mia malattia la tecnologia è stata una manna, senza di essa prima di internet e dei computer, ma anche dei nuovi modelli di carrozzina quelli come me erano tagliati fuori da tutto. Se per esempio fossi nato negli anni 60, alla mia età, 37 anni, sarei stato relegato a guardare la tv. Il fatto di poter comunicare e mostrarmi grazie alle tecnologie fa sì che la società man mano prenda più confidenza con la nostra condizione.

Hai pensato a un particolare tipo di lettore quando hai deciso di trasformare la rubrica in un libro?
In realtà no, ma dai dati statistici su Fb ho verificato che tra i lettori ci sono tanti laureati e insegnanti. La cosa mi ha stupito (qui la pagina di Nicolò su Facebook).

Nel libro ci sono tanti episodi al limite, alcuni molto divertenti… sono tutti veri?
Sì, le storie che racconto sono capitate davvero. Certo con la scrittura alcuni, come per esempio quello del joystick e dei tentativi di saluto stringendomi la mano (esilarante episodio in cui qualcuno cerca di salutare afferrando la mano che guida la carrozzina che così “comincia a vagare – avanti e indietro, a destra e a sinistra – colpisce tutto quello che si trova davanti e di fianco, spesso le caviglie del malcapitato più prossimo o dello stesso normodotato, che sta sudando le restanti camicie”. Pag. 92) è la riunione di tanti episodi tutti simili, capita spesso. Almeno a me è capitato più di una volta.

Il nome francesina per la Duchenne lo ha inventato una tua ex fidanzata…
Sì e l’origine è un po’ a luci rosse (gli occhi sorridono mentre sussurra). Ironizzavamo per il fatto che quando lo facevamo eravamo sempre in tre, io, lei e la… francesina.

Nel libro racconti di una visita ad Amsterdam e di come in un locale il bagno accessibile per dimensioni fosse in cima a una scala. Eppure si pensa sempre che all’estero siano più attrezzati dell’Italia …
Ho sempre amato viaggiare, da questo punto di vista la migliore è stata senz’altro Londra. Non ci sono stati intoppi, mentre a Barcellona in metropolitana abbiamo dovuto fare due rampe di scala perché non c’era l’ascensore, ma la Spagna, tra i Paesi visitati, mi è rimasta nel cuore. Nella mia classifica ci sono poi la Costa Azzurra e la Camargue. Il mio sogno è riuscire visitare l’Autralia.

Nicolò pensa, scrive, ironizza, s’incazza e sorride spiazzando quel residuo di pietismo che anche il più cattivista di noi ospita nel proprio animo al cospetto di una malattia così implacabile

Marco Cappato

Il libro

In uno dei primi capitoli “Una carriera da disabile”, si racconta non senza ironia l’avanzare della malattia: “Nel mondo dei disabili che contano misi piede, forse è più opportuno cominciare a parlare di ruote, nella primavera del 1996: 13 anni da compiere e il professionismo già in tasca, meglio sotto le chiappe”. Nicolò percorre le tappe della Duchenne dall’approdo alla sedia a rotelle fino al ventilatore per respirare.
Gustoso è anche il capitolo dedicato a “Varie forme di normodotato” in cui si descrivono senza peli sulla lingua e senza pietà i tipi umani capaci di rendere più tortuosa e complessa la vita delle persone con disabiltà. Un esempio è una conversazione come questa: “«Stai andando a fare una passeggiata?»; «No, vado a fare un’intervista per lavoro»; «Ah, perché lavori anche?» (“anche”? Forse considera fare il disabile grave una professione?); «Si, sono giornalista pubblicista»; «E ti pagano?» (Nel frattempo la aorta comincia a gonfiarsi sempre più); «Certo, perché non dovrebbero?»; «Allora sei proprio bravo»; Annuisci e attendi, poiché è scientificamente provato, la mazzata finale: «Sono contento, almeno anche tu hai qualcosa da fare!»…”.

Nei 35 capitoli del libro non mancano i ricoveri, gli incontri galanti e anche il sesso. Così introduce il tema: “Tabù, questo argomento è tabù, bù bù: è vivamente consigliato allacciare le cinture poiché si comincia a parlare di sesso – già di per sé oggetto di cui non s’ha da parlar –, ma se lo accompagniamo alla disabilità otterremo l’argomento più tabù mai inventato dell’uomo!” e al tema Nicolò dedica più di un capitolo, compreso il racconto sulle sue prime volte e le case di tolleranza in Canton Ticino.

L’ultimo capitolo è dedicato ovviamente al Coronavirus e alle sue conseguenze. Cafagna scrive: “è inutile che vi dica quanto io sia persona a rischio – forse ne sono addirittura il manifesto vivente – dal momento che all’ignobile virus basterebbe scorgermi anche da lontano e senza occhiali per fare di me un necrologio!”.


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