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Reinhold Messner

Il crollo della Marmolada è colpa del riscaldamento globale

di Luca Cereda

L'alpinista, primo sull’Everest senza ossigeno, non ha dubbi: «Dieci gradi a quella quota è una temperatura incredibile, è più di un sintomo che qualcosa non va. Sotto il ghiaccio si formano veri e propri fiumi d'acqua che portano via tutto»

Ogni tragedia senza un prima e un dopo. Se l’attimo, l’istante esatto della strage di domenica non era prevedibile, ma la probabilità di un crollo del ghiacciaio di Punta Rocca era ipotizzabile da almeno due mesi. Su questo concordano al 100% i soccorritori e scienziati, riuniti a Canazei per continuare le ricerche dei dispersi e per tentare di recuperare ciò che resta dei corpi delle vittime ancora lassù. «Definirla tragedia annunciata mi sembra davvero estremo: non credo lo sia parlare di sottovalutazione generale del rischio di una simile disgrazia, il caldo insistente e la siccità anche in quota da mesi era molto più probabile che succedesse un fatto del genere. Dieci gradi a quella quota è una temperatura incredibile, è più di un sintomo che qualcosa non va. Sotto il ghiaccio si formano veri e propri fiumi d'acqua che portano via tutto», a parlare è Reinhold Messner, alpinista, esploratore e il primo a salire tutte e 14 le cime che sulla terra superano gli 8000 metri di altezza.

La montagna è una cartina tornasole dell’inquinamento

Dopo un inverno quasi senza neve, una primavera e un inizio estate segnati dalla carenza di pioggia e da una siccità che colpisce non solo la Pianura Padana, ma anche le Ali. E poi maggio e giugno sono stati sconvolti da temperature record, ulteriore sintomo di un cambiamento climatico in corso. «Mi hanno detto che nell’ultimo mese, per 25 giorni lo zero termico in Marmolada è stato oltre quota tremila. Per sette volte la temperatura, ai 3343 metri di Punta Penia, ha superato i 10 gradi», aggiunge Messner. Il 20 giugno il primato di 13 gradi in vetta: l'altro ieri, al momento del crollo, erano 10,7. «Va detto che i seracchi cadono da sempre, ma negli anni Sessanta e Ottante il pericolo che accadesse era di gran lunga minore. Purtroppo anche la montagna è una cartina tornasole dell’inquinamento».

La cultura del timore (l’altra faccia dell’amore) per la montagna


L'alpinista trentino, pioniere e precursore della arrampicata libera, è stato molte volte in cima a Punta di Rocca anche se confessa che sono ormai che non ci va. «Dalle foto e dalle immagini video di questi giorni ho visto che non c'è quasi più ghiaccio. Fa troppo caldo, dieci gradi ieri è una cosa davvero incredibile, il permafrost scivola, se ne va e sotto il ghiaccio e la neve più in superficie e si formano veri e propri fiumi d'acqua che portano via tutto e lo fanno senza avvisare».

Un problema, quello del riscaldamento globale e della scomparsa dei ghiacciai, che non riguarda soltanto le nostre Alpi racconta il 78enne originario di Bressanone: «Ormai accade ogni giorni in tutti i ghiacciai e il pericolo sotto i seracchi aumenta. È un rischio che le guide esperte devono considerare e spiegare. Non sto dicendo che chi era là è stato imprudente – precisa Messner, famoso anche per le traversate dell'Antartide e della Groenlandia e del Deserto del Gobi senza il supporto di mezzi a motore né cani da slitta -. Salire da quel lato è una abitudine per chi va in montagna da quelle parti. Un alpinista deve avere sempre un po’ di timore e rispetto per la montagna, non bisogna andare sotto un saracco in questo periodo: l'arte dell'alpinismo – sostiene colui che per primo, nel 1978, scalò l'Everest senza ossigeno – sta nel non morire in una zona dove questa possibilità esiste e per riuscirci bisogna tenere occhi e orecchie bene aperti. Sempre».


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