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Nel campo dell’agricoltura sociale

di Redazione

A pochi chilometri di Bergamo si trovano le serre di una delle più innovative esperienze di agricoltura sperimentate in Italia. Rigorosamente biologica è un modello di convivenza, ma anche di impresa

Arrivando da sud in direzione aeroporto, via Battaina la si incontra uscendo da Urgnano ai margini della zona industriale dove i capannoni lasciano spazio ai campi. Siamo nella bassa bergamasca, a pochi chilometri dal centro del capoluogo. La sorpresa, arrivandoci, è che una delle migliori esperienze di agricoltura sociale e biologica, abbia messo le radici proprio qui, fra magazzini industriali abbandonati e serre intensive. "Cooperativa Biplano", annuncia il cartello all’ingresso. «Il nome? Ci piaceva l’idea del volo», taglia corto il direttore Luciano Maffioletti, bergamasco, cooperatore della prima ora, una passione per le coltivazioni bio («che ormai è diventata qualcosa di più di un lavoro: un modello di convivenza per dare un ulteriore senso a questo posto»).

La legge sull’agricoltura sociale si trova in questo momento in discussione in Parlamento. Nel frattempo Federsolidarietà/Confcooperative ha effettuato un primo monitoraggio sulla sua platea individuando 117 realtà (escluso il Trentino-Alto Adige) attive nel settore con un fatturato complessivo di circa 50 milioni di euro. La Biplano è una di queste.

SVEGLIA ALL'ALBA
D’estate la giornata di lavoro inizia di buon mattino. Alle 7,15 Luciano è già sul campo. Insieme a lui stamattina ci sono Mariano, Angelo e Marco, il trattorista. Gli stipendiati in tutto sono otto, tre di loro sono i cosiddetti inserimenti lavorativi (pazienti psichiatrici o ex tossici). Poi ci sono i volontari. Biplano è un piccolo microcosmo. A fianco dei quasi 3 ettari coltivati (altri 2,3 si trovano in un appezzamento vicino a Bergamo) ci sono una comunità psichiatrica riabilitativa a media assistenza, un centro diurno per malati psichiatrici e un centro di accoglienza per immigrati con protezione umanitaria.

«Coltiviamo solo frutta di stagione e lo facciamo rispettando i criteri della biodiversità, che oltre a essere un metodo agricolo per noi è uno stile di accoglienza». Del resto l’attività prettamente agricola (qui si segue tutta la filiera, dal campo alla distribuzione in sette mercatini, dalla provincia di Bergamo fino a Milano) fattura 300mila euro a fronte di un bilancio complessivo di 1,7 milioni, ma non è detto che i percorsi dei malati psichiatrici non si incrocino con la produzione agricola. «Oltre a loro accogliamo e facciamo lavorare anche carcerati in articolo 21 e ospitiamo in tirocinio studenti delle superiori in difficoltà», spiega Maffioletti. Per farla breve «fra ospiti, lavoratori ed educatori ogni giorno nella nostra mensa pranzano 50 persone».

L'ERBA E L'AZOTO DEI PISELLI
Il direttore la definisce «natura senza filtri». Umana e naturale. «Consideriamo il suolo e la vita che si sviluppa in esso come un unico sistema», dice Maffioletti. «Nelle normali serre per esempio non vedrete mai lungo i filari, l’erba. Questo perché occupa spazio e rende meno intensiva la produzione. Noi invece la teniamo in quanto è imprescindibile per mantenere areato il terreno. Invece del concime chimico, poi, utilizziamo letame maturo. Non solo. Conta molto anche "il bilanciamento"». E se lo dice uno che da sempre si occupa di malati psichiatrici c’è da credergli. «I piselli e i fagioli per esempio sono grandi portatori di azoto, mentre i cavoli sono classificati come mangiatori», spiega.

L’altro aspetto fondamentale «è che chi lavora con noi vede l’inizio e la fine del processo e vi assicuro che per chi soffre di certe patologie o si porta dietro un determinato tipo di passato, questo conta tantissimo». L’intero ciclo produttivo è stato progettato ed è seguito da un agronomo professionista dipendente della cooperativa, Marco Zonca «con cui gestiamo anche “la valle della Biodiversità”. Un orto giardino di 5mila metri quadrati affidati a noi dall’Orto Botanico del comune di Bergamo». Come a dire senza alte competenze non si produce né valore economico (se considerassimo esclusivamente l’attività agricola, i conti sarebbero in pari), né valore sociale.

Nella foto qui a fianco Marialuisa, Roberta e Bruno, responsabile del punto vendita di piazza Pontida a Bergamo

Alle 10,30 è ora di caricare il raccolto sul trattore e di portarlo in magazzino. Sono sì e no 500 metri di distanza. Il deposito è proprio a fianco del centro diurno. È qui che ieri sono state preparate le casse con cui il furgone della Biplano ha rifornito il mercatino del centro di Bergamo, dove tre addetti della cooperativa da stamattina stanno servendo i clienti (molti dei quali veri afiocionados). Zucchine a trombetta («da queste parti siamo stati i primi a produrle»), insalata, piselli e pomodori. Niente borragine e niente tarassaco. Adriano, il magazziniere, e Gaia, la responsabile della logistica spiegano «che a Bergamo la borragine si vende molto poco. I bergamaschi sono terribilmente abitudinari. Mentre a Milano borragine e tarassaco tirano molto». De gustibus non disputandum est.

Si avvicina l’ora di pranzo. La campanella suona alle 12.30. In cucina ci sono Giusi, la cuoca…

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