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Vita in cartiera

di Anna Spena e Lorenzo Maria Alvaro

Vita a gennaio 2016 ha trasferito la propria sede in via dei Missaglia, all’interno del compound milanese dell’auto dell’imprenditore Gianni Moccarelli. Ma originariamente qui, a partire dal 1912, c'erano le Cartiere di Verona. Ecco la storia dalla produzione di carta a quella di carta stampata. E l'arrivo delle nuove forme di editoria

Vita a gennaio 2016 ha trasferito la propria sede in via dei Missaglia, all’interno del compound milanese dell’auto dell’imprenditore Gianni Moccarelli. Proprio lui acquista l’area e gli stabili abbandonati che qui sorgevano per creare il suo polo.

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Mocauto

«La Società, nata nel lontano 1963 come rivenditore del solo marchio Autobianchi a Milano», racconta Moccarelli, «si è sviluppata molto alla fine degli anni ’90 quando, con il supporto di un importante partner di Private Equity, ha dato vita all’attuale Holding, Car World Italia S.p.A., per consolidare e razionalizzare la propria presenza nella distribuzione di veicoli principalmente a Milano e in Lombardia e introdurre nuove forme distributive nella vendita di auto usate. A partire dal 1998 ha preso così il via il primo esempio italiano di concessionario che utilizza logiche di tipo industriale per garantire al consumatore i migliori livelli di servizio e di efficienza». La holding gestisce molti marchi: Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Abarth, Jeep, Ford, Lexus, Subaru, Mazda e Mahindra.

Il complesso polifunzionale

Mocauto decide di dare vita a un complesso polifunzionale dedicato al mondo dell’automobile. Così nel 2002 apre il Mocauto Center in via dei Missaglia, dove Vita andrà ad abitare nel 2016. Una scelta che si rivela giusta soprattutto dal punto di vista economico «Il volume di vendite, passa dalle 6.700 auto nuove del 1997 alle 22.000 nel 2005, ci ha trasformati nel principale operatore indipendente del mercato italiano», sottolinea Moccarelli, «Poi certo, è arrivata la crisi, anche per noi» conclude. Ma cos’era il compaund prima di diventare il centro dell’auto milaense?

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Le Cartiere di Verona

I 16mila metri quadri di capannoni su via dei Missaglia, di fronte a quello che oggi è il quartiere Gratosoglio erano la sede di una Cartiera. «Erano diverse e fuori scala. Come se il territorio dove erano nate non gli appartenesse ancora», racconta Luca Imberti, architetto responsabile dei lavori di recupero degli edifici. «Ma le cartiere, solitarie e in aperta campagna, immerse nello spazio agricolo ritmato dalle cascine, avevano già un piede nel futuro. Moderne e tecnologiche producevano la carta. Sono nate nella zona sud di Milano dove acqua e cellulosa, materie prime per la sua realizzazione, erano gli elementi fondamentali. Già nel 1855 alla Conca Fallata era stato aperto lo stabilimento delle Cartiere Binda, cinquant’anni dopo, è stato il turno delle Cartiere Bagarelli, poi, nel 1912, diventate Cartiere di Verona, proprio qui, in via dei Missaglia». A inizio del secolo scorso, via dei Missaglia era un percorso secondario che veniva utilizzato per raggiungere alcune cascine. «Solo nel secondo dopoguerra, negli anni sessanta, con la realizzazione dei quartieri Chiesa Rossa prima, Gratosoglio e Missaglia poi, completati nel decennio successivo, il paesaggio si trasformò in senso urbano assumendo quelle caratteristiche che vediamo ancora oggi mentre percorriamo queste strade. La realizzazione delle strade verso Rozzano, fino alla più recente costruzione del centro commerciale Fiordaliso e di Milano 3, ha fatto si che via dei Missaglia diventasse a tutti gli effetti parte della città; e con lei, anche gli stabilimenti delle Cartiere», sottolinea Imberti. Dopo i processi di concentrazione produttiva nel settore cartario, nei primi anni novanta le Cartiere di Verona, con quasi un secolo di attività alle spalle, chiudono definitivamente.

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Una zona ricca d’acqua e mano d’opera

«Il motivo dell’ubicazione in questa zona è da ricercarsi nella faglia che è a soli 7 metri di profondità», spiega Imberti, «acqua che è fonamentale e vitale proprio per la produzione di carta. Si trattava di un’industria imponente per dimensioni e mano d’opera. Sembra infatti che nei picchi stagionali di produzione la cittadella vedesse al lavoro 1200 operai. Tra questi anche, come testimoniano i ritrovamenti di spazi arredati con letti a castello di 4 piani, le lavoratrici a cottimo che venivano reclutate alla bisogna».

Un recupero conservativo da record

I fili interrotti di questa vicenda si riannodano in un nuovo progetto. «Ci abbiamo messo tre anni a restaurare i padiglioni. Ad oggi, a parte le coperture dei tetti che erano in ciottoli e oggi sono in lamiera, tutto, dalle fognature, alla viabilità fino agli infissi, è ancora originale», racconta Moccarelli. «Era una struttura fatta a regola d’arte come non se ne fanno più. Costruire qualcosa di simile oggi sarebbe impensabile, i costi della manodopera sarebbero proibitivi», aggiunge. Basti pensare che il sistema fognario è costruito con tondini da oltre de metri. Significa la possibilità di camminare comodamente eretti durante le ispezioni, rese semplici dai tanti pozzetti con scale che permettono l’ingresso. Uniche migliorie il riscaldamento geotermico, reso possibile sempre dalla faglia sottostante, e il cablaggio dell’intero lotto. «Si tratta di uno dei recuperi più imponenti in Europa e forse l’unico che ha mantenuto la destinazione d’uso degli stabilimenti», spiega con orgoglio Moccarelli. «Di esempi di recupero come questo ce ne sono diversi, anche se di dimensioni più modeste. Ad esempio la Riva Calzoni di Via Savona. Spesso questo tipo di recuperi vengono convertiti ad uso abitativo. La peculiarità di questo posto è che qui si lavorava nel 1912 e si lavora ancora nel 2016».

C'è chi lo chiama destino, altri parlano di caso. Sta di fatto che proprio di fronte alla nuova sede Vita sorge una grande struttura oggi destinata allo stoccaggio delle automobili. Una volta però era la sede della produzione delle bobine destinate alla stampa dei quotidiani, in particolare del Corriere della Sera che in quegli anni vendeva già tra le 300mila e le 400 mila copie e aveva un fatturato di 12.301.666 di lire del 1921.

La storia degli edifici

Il complesso delle Cartiere di Verona non è mai rimasto uguale nel tempo. «Sono state individuate tre soglie storiche significative nella vita dello stabilimento, ma in mancanza di una datazione precisa dei singoli corpi di fabbrica la demarcazione tra le epoche è basata su aspetti morfologici e strutturali, anche se, bisogna ricordare che edifici in tutto simili, possono anche essere stati realizzati in tempi diversi», racconta Imberti spiegando come ha affrontato il lavoro. «Si pensa che una prima fase vada dall’avvio della produzione fino agli anni venti. È in questo periodo che vennero costruiti i primi capannoni; quelli che coprivano l’aera nord della zona», sottolinea. In questa prima epoca gli edifici hanno murature perimetrali in mattoni pieni, la struttura portante è in cemento armato o in ferro e ghisa. Le coperture a lucernari e shed garantivano illuminazione uniforme ed elasticità funzionale. La tecnologia di costruzione standardizzata e ripetitiva, in particolare per le parti in ferro, permise di ottimizzare l’impiego dei materiali, realizzando capriate reticolari che ancora oggi rivelano, attraverso la loro esile trama, la precisione della progettazione. Le facciate esterne, invece, sobrie nelle proporzioni, erano composte in base a semplici modularità, correttamente e precisamente in rapporto reciproco, a partire dalle misure dei singoli componenti: porte, finestre, modanature e lesene. I numerosi edifici realizzati nella prima fase corrispondevano alla precisa esigenza di tenere il passo con la catena dei trattamenti: dall’accumulo della materia prima, alla riduzione in pasta dei componenti per alimentare la “macchina continua”, cuore tecnologico della produzione. «La seconda fase è quella dell’immediato dopoguerra. Il potenziamento di uffici e servizi ha lasciato la traccia più visibile nella attuale configurazione del fronte stradale su via dei Missaglia», racconta Imberti. Ispirata a criteri tardorazionalisti, che si vedono nelle aperture ad andamento orizzontale e nei serramenti, la facciata è caratterizzata da un grande ed imponente portone di ingresso. «La terza fase, quella degli anni sessanta, corrispose ad un ammodernamento più radicale degli impianti», conclude Imberti. Vennero realizzati nuovi edifici che erano finalizzati all’introduzione di nuove tecnologie produttive; tra i più importanti il grande fabbricato destinato alla “macchina continua”, posto, dal quel momento, ad est del complesso produttivo.

Nuova Vita nella ex cartiera

L'edificio che oggi ospita la nuova sede di VITA, nel compound immaginato da Mocarelli era destinato alle aste di auto, una grande sala cablata dove gli acquirenti facevano le loro offerte. Ma poi è arrivata internet e le aste d'auto si sono smaterializzate. Nel coumpound si sono liberati spazi e oggi, la dove si fabbricava la carta dei quotidiani sta arrivando la nuova editoria, quella che lavora sui contenuti e sull'immagine e che usa vari mezzi, carta, tv, web. Con Vita, in via dei Missaglia è arrivata anche Condé nast. Un segno dei tempi e della grande atrsformazione che attraversiamo.


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