Pescara del Tronto

Conosciamo il dolore: così i profughi aiutano i terremotati

di Gabriella Meroni

Li hanno accusati di vivere in albergo mentre gli italiani sfollati stavano sotto le tende. Hanno detto (e scritto) che si facevano selfie con la pala in mano per farsi pubblicità. Invece loro, i rifugiati che hanno portato soccorso nelle zone colpite dal sisma, hanno scelto di farlo per vicinanza umana. «Anche noi sappiamo cosa vuol dire perdere tutto»

Stupore, sconcerto, a tratti dolore. E tante domande sul perché ai giornalisti di tutto il mondo – ne ha dato conto perfino il New York Times – interessasse tanto la loro storia. I circa cinquanta rifugiati che hanno dato una mano (e continuano a darla) nel post terremoto che ha colpito il Centro Italia sono stati nei giorni scorsi al centro di polemiche anche dure: alcuni giornali hanno titolato “I profughi in albergo, gli italiani in tenda” o “Mettiamo i terremotati in hotel al posto degli immigrati”, alludendo alla sistemazione offerta a chi aveva perso la casa per il sisma (in tendopoli) e gli alloggi dei rifugiati che, come è noto, sono a volte ospitati in strutture alberghiere convenzionate con il sistema pubblico di protezione.

Un filone facile facile da percorrere, visto che c’è sempre una certa pancia del paese pronta a reagire appena sospetta che “gli stranieri” godano di privilegi immeritati. In realtà, le cose sono andate molto diversamente. «La notte del 24 agosto i ragazzi si sono svegliati nel cuore della notte, terrorizzati», racconta Letizia Bellabarba, coordinatrice della ong Gus che ospita, all’interno del circuito Sprar, un centinaio di richiedenti asilo in provincia di Ascoli Piceno. «I pachistani ci sono abituati, purtroppo, ma gli africani non avevano mai sentito un terremoto, non sapevano cosa stesse succedendo…. C’è voluto molto tempo e molta pazienza per spiegare e calmarli».

Solo alla luce del giorno, guardando i telegiornali e comprendendo quello che era successo, è scattata in alcuni di loro la molla della solidarietà: «In una ventina hanno iniziato a fare domande, a chiedere se in qualche modo potevano aiutare. Noi non ci avevamo neppure pensato… e quando ce lo hanno proposto, abbiamo esitato a lungo prima di dar corso alla richiesta».

Eppure non è la prima volta che il Gus-Gruppo Umana Solidarietà, ong marchigiana con 23 anni di storia, attiva anche nel settore della tutela e integrazione dei richiedenti asilo, ha a che fare con l’emergenza sisma: gli operatori dell’organizzazione erano già intervenuti nei terremoti dell’Umbria e delle Marche nel 1997, nel Molise nel 2002 e in quello dell’Aquila nel 2009. «È il nostro lavoro: ci occupiamo di sostegno psicologico alle popolazioni colpite da catastrofi», spiega il presidente Paolo Bertuccioli. «Anche in questo caso, il nostro intervento è mirato alla creazione di “centri di ascolto” e del necessario coordinamento con altre componenti sanitarie istituzionali. La proposta, arrivata all’improvviso da parte dei rifugiati stessi, ci ha colto di sorpresa».

Nessuna premeditazione, dunque, nessuna ricerca di pubblicità o di una comoda vetrina per far passare il messaggio “il rifugiato è tuo amico”, come qualcuno ha pensato (e scritto), o – peggio – la creazione di «battaglioni africani» di soccorritori contrapposti ad altri, per citare parole dello stesso presidente Gus. Ma un intervento coordinato con le istituzioni, prima tra tutte l’amministrazione comunale di Monteprandone, il Comune a 70 km dall’epicentro del sisma in cui risiede – all’hotel Belvedere – il primo gruppo di profughi che si sono messi a disposizione della macchina degli aiuti.

Non abbiamo voluto creare un "battaglione africano" di soccorritori, ma solo fare il nostro lavoro: portare aiuto nelle emergenze

«Abbiamo atteso che si organizzassero innanzitutto i professionisti del recupero superstiti», continua il presidente. «Solo nei giorni seguenti i ragazzi sono partiti per le zone terremotate e, sotto il coordinamento della Protezione civile di Monteprandone, hanno lavorato all’allestimento di strutture di emergenza individuate come Centro Operativo Misto della Protezione civile». Un campo semiabbandonato, coperto di erbacce e rifiuti, che è stato ripulito e riadattato in poco tempo e non senza difficoltà: quando è partito il tam tam mediatico sui “profughi che aiutavano gli italiani”, gli ospiti del Gus sono stati investiti dai flash e circondati da microfoni e telecamere, con effetti a volte surreali: «Alcuni operatori dell’informazione sono stati delicati e attenti», dice ancora Bernabucci, «mentre altri non sono andati troppo per il sottile, come quel giornalista che ha chiesto ai ragazzi di lasciare il panino che stavano mangiando in pausa pranzo per riprendere in mano pale e rastrelli, così da filmarli in tempo utile per il tg».

Oggi il lavoro dei ragazzi continua, fortunatamente senza il battage dei primi tempi, ed è stato organizzato su turni, coinvolgendo oltre al gruppo di Monteprandone anche quelli sparsi nel resto della provincia di Ascoli. «Rimarremo a disposizione finché saremo utili», dichiara Letizia Bellabarba. «Dopo la messa in opera del Com a Pescara del Tronto abbiamo contribuito ad allestire un altro ufficio della Protezione Civile nell’ex Centro Ittico del paese, che era in disuso. Per noi è normale dare una mano alla comunità, non c’è niente di strano o di eroico in questo». Fa infatti parte del percorso di integrazione dei richiedenti asilo in Italia lo svolgimento di attività di supporto alla comunità quali manutenzione del verde, pulizia di aree comuni e altri lavori utili, portati avanti in modo assolutamente volontario. «Alcuni ragazzi mi hanno detto che capivano benissimo la sofferenza dei terremotati», conclude Letizia Bellabarba, «Perché anche a loro è capitato di perdere tutto e di dover lasciare la propria casa da un momento all’altro. Sanno bene cosa significa essere assistiti da estranei, mangiare in una mensa comune, vivere sotto una tenda. Ecco perché hanno avvertito l’urgenza di portare aiuto: per dire agli italiani che, in fondo, nel dolore siamo tutti uguali».

Nella foto di copertina: un gruppo di richiedenti asilo ospitati nelle Marche dal Gus

I rifugiati sanno benissimo cosa significa perdere tutto in un attimo: per questo si sono messi a disposizione. Mi hanno detto: nel dolore siamo tutti uguali

Letizia Bellabarba (coordinatrice Gus)

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