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Africa

The Damned Yard: un viaggio a Sodoma e Gomorra

di Romano Maniglia

Smaltire i rifiuti in Ghana permette alle aziende europee e americane di risparmiare circa un terzo dei costi di smaltimento legale nei rispettivi paesi. Per questo motivo, nonostante la convenzione di Basilea abbia proibito il traffico internazionale di rifiuti, il commercio illegale di quelli elettronici verso Accra continua ad avere proporzioni enormi. Un reportage di Romano Maniglia

Non lontano dal centro di Accra – dove le strade diventano impraticabili e i taxi sono costretti a rallentare per le buche – si trova la banlieue di Agbogbloshie, più conosciuta da tutti con il nome di “Sodoma e Gomorra”. Come le due città bibliche anche Agbogbloshie sorge vicino all’acqua, più precisamente nella laguna di Korle: un territorio pianeggiante attraversato dal fiume Odaw. Su una sponda si estende la più grande discarica di rifiuti elettronici dell’Africa, sull’altra il popolatissimo ghetto di Old Fadama – comunemente chiamato Kokomba – che pullula di attività e di vita. Le due parti sono collegate da un piccolo ponte di cemento.

L’intero territorio di Agbogbloshie è un immenso cantiere a cielo aperto e definirlo una semplice discarica è riduttivo. Il suo nome è diventato – ormai da anni – sinonimo dei rifiuti elettronici che ogni giorno entrano nei porti di Accra. Fino ad oggi sono stati riversati nell’area di Agbogbloshie più di 250 milioni di tonnellate di e-waste, nella maggior parte provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Spagna, Svizzera e Danimarca.

Smaltire i rifiuti in Ghana permette alle aziende europee e americane di risparmiare circa un terzo dei costi di smaltimento legale nei rispettivi paesi. Per questo motivo, nonostante la convenzione di Basilea del 1989 (ratificata dai paesi europei ma non dagli Stati Uniti) abbia proibito il traffico internazionale di rifiuti, il commercio illegale di quelli elettronici verso Accra continua ad avere proporzioni enormi.

“Osserva attentamente, questa lavatrice proviene dall’Italia!”, mi dice Yagmah, un ragazzo del Togo che ho conosciuto a Old Fadama e che mi fa da guida nella discarica. Yagmah abita in una casa di legno di appena 10 m2, è arrivato da quattro mesi in Ghana, partito per la mancanza di acqua potabile nel suo paese, sta cercando lavoro a “Sodoma e Gomorra” nome dato dagli abitanti stessi della zona per via del grosso tasso di prostituzione e dipendenza dalle droghe. Mi spiega che la maggior parte dei ragazzi che vivono e lavorano nella discarica viene da fuori: dal nord del Ghana oppure dal Niger, dal Togo e dal Burkina Faso.

Negli ultimi decenni, a causa dell’arrivo di rifiuti elettronici dai paesi ricchi, Accra è diventata un polo di attrazione per la migrazione interna al Ghana, principalmente dal nord del paese dove i livelli di povertà sono altissimi. Nonostante le terribili conseguenze sulla salute, lavorare nella discarica permette di guadagnare di più rispetto a quelli che sono gli standard del paese. Si calcola che in media il guadagno minimo giornaliero di chi ci lavora è di circa 3,5 dollari al giorno, il doppio rispetto alla media dei salari giornalieri.

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La maggior parte dei rifiuti che arrivano ad Agbogbloshie non sono funzionanti e non possono più essere riparati. Gli aggeggi elettronici irrecuperabili vengono allora smantellati a colpi di martello per poterne ricavare metalli da rivendere alle vicine aziende della capitale Ghanese: soprattutto rame, alluminio, ferro e oro. Il processo di recupero dei metalli avviene in un’area situata vicino l’argine del fiume Odaw; in questa zona le sostanze tossiche contenute negli apparecchi elettronici e la plastica vengono bruciate senza alcun rispetto delle norme sanitarie e ambientali.

“Si prendono, per esempio, gli starter delle auto che sono fatti in buona parte di rame e si posizionano a terra”, mi spiegano i ragazzi che ci lavorano, “ “poi si accende un piccolo falò con cavi elettrici, copertoni e altri prodotti di scarto. Una volta che tutti i materiali si sono bruciati rimane solo il rame che si vende per 3 cedi al pound / libra (circa 0,45 kg) alle fonderie”.

Dall’area dei “fuochi” si innalzano fumi tossici e neri e l’odore pungente sprigionato dalle sostanze inquinanti arriva fino al vicino mercato degli ortaggi, dove tutta la popolazione va ogni giorno a fare compere. Le proporzioni sono quelle di una terribile catastrofe ambientale e sanitaria che si ripete incessantemente tutti i giorni. È stato ormai accertato da uno studio dell’Università delle Nazioni Unite nel 2014 intitolato “Global E-Waste Monitor” che i livelli di piombo, arsenico e cadmio sono elevatissimi nella zona di Agbogbloshie e che questo provoca danni ingenti all’acqua, al suolo, all’aria e alla salute delle persone.

L’inquinamento delle falde acquifere del fiume Odaw è evidente: l’acqua è torbida, i rifiuti bloccano il flusso della corrente e la biodiversità ittica è notevolmente ridotta. Sugli uomini i danni provocati dalle sostanze tossiche sono gravissimi: cancro, tumori, aborti involontari e problemi alla pelle sono solo alcune delle conseguenze delle sostanze inquinanti. Certe mucche – completamente nere a causa del fumo – pascolano tra i rifiuti, costrette a brucare qualche sparuto filo d’erba. Nonostante la pericolosità per la salute, la loro carne e il loro latte rappresentano una fonte di sostentamento per chi vive nei pressi della discarica.

Solo una piccola percentuale dei rifiuti che arriva ad Accra è riparabile e riutilizzabile. Gli oggetti in buone condizioni vengono aggiustati sul posto e poi rivenduti come prodotti di seconda mano. Questo tipo di commercio è floridissimo ad Accra dove le bancarelle piene zeppe di cellulari e televisori usati riempiono le strade del centro e i negozi di computer e telefonia hanno ormai sostituito ogni altra forma di artigianato e commercio.

Eppure ad Agbogbloshie non si trovano solo rifiuti di importazione, a questi si aggiungono i rifiuti di produzione locale (automobili per esempio) che contribuiscono a fare dell’intera laguna un’immensa distesa di spazzatura indistinta. In effetti riconoscere la tipologia dei vari oggetti è spesso quasi impossibile. Computer, auto, frigoriferi, stampanti, televisori, monitor sono ridotti in grovigli di fili e pezzetti di plastica e metallo.

“È colpa del bad management!” continuano a ripetermi i ragazzi che incontro e che danno la colpa alla politica di aver fatto diventare una sterile discarica quello che – una volta – era un paradiso verde. Una classifica sui luoghi più inquinati del mondo realizzata dal Green Cross e dal Blacksmith Institute rende l’idea della gravità della situazione per l’ambiente e la salute: solo nel 2014 Agbogbloshie si piazzava al primo posto nella top ten.

Sulla sponda opposta alla discarica si estende la baraccopoli di Old Fadama: una bidonville – nata una quarantina di anni fa principalmente a seguito della migrazione proveniente dal nord del Ghana – che ruota intorno ai rifiuti e al mercato ortofrutticolo. Siamo nella stagione delle piogge,il terreno è coperto di fango appiccicoso che rende difficile anche solo camminare. Le abitazioni nel ghetto sono delle specie di palafitte di legno leggermente rialzate dal terreno per poter resistere ai temporali improvvisi. Spesso sono abitate da gruppi di persone che si trasferiscono a lavorare nella discarica, costrette a vivere in condizioni di grande precarietà e promiscuità. Nel ghetto i servizi igienici e l’assistenza sanitaria sono inesistenti, con gravi conseguenze sulla salute degli abitanti..

La maggior parte della popolazione che vive a Kokomba è composta da ragazzi in età lavorativa, tantissimi sono però i minorenni che si ritrovano a giocare tra le colline di rifiuti che circondano lo slum. Tra loro, sono pochi quelli che hanno la fortuna di frequentare l’unica scuola che c’è nel ghetto: una piccola baracca con tetto di lamiera che ospita due classi di alunni.

Nonostante tutto, la vita nel ghetto è frenetica. Si vedono dappertutto donne che camminano con pacchi pesanti sulla testa e trasportano da una parte all’altra acqua, cibo e naturalmente rifiuti. La puzza dei fumi tossici provenienti dalla discarica si unisce al profumo delle numerose cucine in cui le donne pestano la cassava nel mortaio per preparare il “fufu”, l’alimento di base della cucina ghanese. La musica reggae risuona nell’aria e alcune bandiere della Jamaica svettano sui tetti delle baracche. Yagmah mi racconta che il consumo di stupefacenti è molto alto nella baraccopoli, si tratta essenzialmente di marijuana che viene raffinata con altri prodotti e poi fumata o sniffata; al problema della droga si aggiunge quello della prostituzione che coinvolge molte ragazze giovanissime o minorenni.

“Non ho intenzione di restarci a lungo”, sostiene Yagmah, che spera di poter trovare presto lavoro altrove senza dover rischiare di ammalarsi in ogni momento. “Magari cercherò di lavorare in una delle fabbriche al di fuori della discarica in cui si producono infissi in legno”.

Intanto almeno un progetto che va controcorrente ad Agbogbloshie c’è. Si tratta della piattaforma “Amp” (Agbogbloshie markerspace platform) lanciata da un team di architetti con l’obiettivo di favorire il riciclo e il recupero dei rifiuti in maniera sostenibile. Il progetto – che vede tra i fondatori DK Osseo-Asare – è un primo passo concreto per dimostrare come gli e-waste possano diventare una risorsa per il paese ma solamente qualora si metta al primo posto la salute delle persone e il rispetto dell’ecosistema.

Il progetto fotografico qui presentato si intitola “The Damned Yard” e prende in prestito un’immagine apocalittica per raccontare il luogo che è conosciuto da tutti con il nome di “Sodoma e Gomorra”. La metafora della dannazione sembra la sola capace di rendere il volto dell’inferno del ventunesimo secolo in cui la tecnologia assomiglia sempre di più ad un mostro ingestibile che sommerge l’umanità: metaforicamente nella vita quotidiana di tutti i giorni e letteralmente nelle montagne di rifiuti di Agbogbloshie.


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