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L’estate delle marionette

di Diana Garrisi

Una tradizione antica sta vivendo un momento di grande popolarità. «I burattini sono appesi a un filo e in questo riflettono la condizione umana» – spiega Remo Di Filippo, direttore artistico del Festival di Offida – «le loro storie raccontano di solitudine, di amore, di passione, di fragilità». Il prossimo appuntamento? Il Bajocco Festival ad Abano Laziale

L’estate è la stagione ideale per l’incanto: complice il tempo favorevole, marionettisti e burattinai del mondo popolano piazze, stradoni, vicoli e parchi per liberare lo spirito dei loro pupazzi e dar vita a storie raccontate con legno e fili. Nella cultura occidentale si tende a diffidare dagli oggetti che parlano o si muovono, eppure il successo del Figura Offida Festival (a cui si riferiscono le foto che pubblichiamo in questo articolo), rassegna internazionale di teatro di figura che si è recentemente conclusa nel borgo marchigiano di Offida, o l’imminente Bajocco Festival ad Albano Laziale dall’8 al 10 settembre, e molte altre iniziative simili, testimoniano che ci sono interesse e curiosità per il teatro di figura. Però c’è anche un tabù, che peraltro rinforza l’attrattiva di questo tipo di spettacolo. Lo dimostra la frase ricorrente: «I burattini fanno tornare gli adulti bambini». Tornare bambini implica che il piacere dell’incanto sia legato a una condizione perduta dell’infanzia ma non è vero, l’incanto è presente in ogni stagione della vita.

Come scrive Lewis Klausner, professore di letteratura inglese alla John Cabot American University a Roma, nella tradizione occidentale, la divisione cartesiana tra spirito e materia e il culto giudeo-cristiano che vieta l’idolatria hanno alienato la mente moderna da culture che investono gli oggetti di poteri soprannaturali. Questa è anche parte della tesi della scrittrice Victoria Nelson, che però nel suo libro La Vita Segreta delle Marionette (The Secret Life of Puppets, 2001), sostiene che i nostri istinti più repressi e il rapporto con il soprannaturale nel ventunesimo secolo sono tornati, sotto forma di pupazzi, a volte in modo grandiloquente.

Non si parla solo di marionette che stanno come un guanto sopra la mano. Filippo, il burattino gigante realizzato con tubature idrauliche dall’ artista catanese Sanjiva Margio, è alto cinque metri e necessita di cinque persone per essere azionato. Una di queste tiene il burattino eretto grazie a due bretelle, come se portasse uno zaino in spalla. Mimimalista è invece l’approccio dell’australiana Sandy McKendrick, ideatrice dello spettacolo Il viaggio di Djapu. Accompagnato dal suono di un violoncello, Djapu compie un viaggio in esplorazione di ciò che si trova fuori dalla cesta in cui vive. Nella fattispecie è la strada su cui si esibisce e quindi il mondo degli spettatori. McKendrick usa la tecnica della marionetta “porté”: il pupazzo è portato a mano attraverso una cordicella situata dietro il suo collo; con questo metodo il movimento della marionetta risponde al più impercettibile respiro del manipolatore. McKendrick ritiene che l’unanime consenso internazionale ottenuto da questo spettacolo sia legato all’ espressione facciale del suo protagonista: «Djapu ha uno sguardo inquisitivo, mostrando un’apertura mentale dettatagli da curiosità e timidezza allo stesso tempo».

I burattini possono essere creati in legno con aggiunta di poliespanso, un materiale usato per rendere il pupazzo più leggero. La testa viene scolpita in creta e plastilina e poi aggiunti cartapesta o pasta di legno

spiega Rhoda Lopez, della Compagnia “Di Filippo Marionette”

«I burattini possono essere creati in legno con aggiunta di poliespanso, un materiale usato per rendere il pupazzo più leggero. La testa viene scolpita in creta e plastilina e poi aggiunti cartapesta o pasta di legno – spiega Rhoda Lopez, della Compagnia “Di Filippo Marionette” di Offida – Gli occhi possono essere di plastica, dipinti o di vetro, comprati presso gli ormai introvabili ospedali di bambole in Spagna e Australia».

Tecnicamente il numero di fili di un burattino varia a seconda della complessità del movimento che si vuole rendere. Una delle ultime creazioni della Compagnia “Di Filippo Marionette” è una ballerina hawaiana per cui ci sono voluti 17 fili, molti dei quali solo per mettere in movimento il bacino. 30 fili ci vogliono per far muovere e ‘cantare’ Canelo, il protagonista del musical messo in scena dall’artista spagnolo Ferran Costa. Canelo show è la storia della relazione tra un cane, cantante capriccioso e pigro, e del suo ansioso, ma paziente, agente padrone che lo porta in giro nel mondo ad esibirsi nel suo one puppet-show. Uno spettacolo d’incredibile successo per i bambini che interagiscono con il cane accarezzandolo e giocandoci come fosse vero, mentre Ferran tira i fili dall’alto.

Alla preparazione della marionetta si aggiunge quella fisica dell’artista, che non è nascosto dietro un teatrino ma manipola il burattino a vista. La giornata dei Zero En Conducta, pluripremiata compagnia spagnolo-messicana, ruota intorno a ore di allenamento fisico e pratica delle tecniche di teatro di figura e danza, per coordinare i movimenti dei burattini con passi eseguiti simultaneamente.

Alla preparazione della marionetta si aggiunge quella fisica dell’artista, che non è nascosto dietro un teatrino ma manipola il burattino a vista. La giornata dei Zero En Conducta, pluripremiata compagnia spagnolo-messicana, ruota intorno a ore di allenamento fisico e pratica delle tecniche di teatro di figura e danza, per coordinare i movimenti dei burattini con passi eseguiti simultaneamente. Questa crescente spettacolarizzazione dell’interazione fra marionetta e marionettista rompe la dualità fra visto e non visto, mistero e realtà come mondi inseparabili ma divisi dalla percezione dicotomica della vita. Forse è anche per questo che la morte è un motivo centrale in molti degli spettacoli, il motore spesso che giustifica il movimento. «I burattini sono appesi a un filo e in questo riflettono la condizione umana – spiega Remo Di Filippo, direttore artistico del Festival di Offida – le loro storie raccontano di solitudine, di amore, di passione, di fragilità».

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«Dove la metto la testa?» chiede Pulcinella al boia prima che la sentenza d’impiccagione venga eseguita. Un bambino seduto tra il pubblico dello spettacolo di marionette commenta: «Pulcinella è uno che non sa niente, ma sa». L’episodio lo racconta il grande burattinaio napoletano Bruno Leone, da 40 anni interprete di Pulcinella. “I bambini hanno una funzione fondamentale perché colgono il nodo della storia e aiutano l’adulto a capirla». Questi spettacoli sono anche un’opportunità di riconciliazione con l’idea della morte. Infatti nel momento più tragico per Pulcinella un altro piccolo spettatore rassicura la madre: «Non c’è da preoccuparsi, questa è una morte bella». In un altro famoso episodio Leone aveva usato come personaggio il teschio di una capra che arriva e spaventa tutti e poi piange perché tutti scappano. Perché nessuno mi vuol fare una carezza? si domanda, ed ecco i bambini in fila ad accarezzare il teschio negletto.

Perché è bella la morte del burattino? Come osservava il piccolo spettatore arrivando intuitivamente dove la razionalità manca, perché avviene in un contesto dove vita e morte non sono separati: l’animato non è meglio dell’inanimato, vita e non vita sono tutt’uno e quindi non percepite in modo tragicamente e reciprocamente esclusivo.


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