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Malattie rare

Un dramma familiare diventa rete di speranza

di Ilenia Pusterla

In 5 anni l’associazione Gfb ha superato 1,5 milioni di dollari e finanziato una promettente ricerca negli Stati Uniti, mettendo in rete centinaia di casi. Tutto è partito dalla diagnosi di una rara forma di distrofia per due ragazzi di una famiglia di Talamona (Sondrio). Il racconto della mamma

Prima è arrivata la diagnosi, per due dei loro quattro figli, di una rara forma di distrofia muscolare che in poco tempo non permette più di camminare, poi di respirare, fino a fermarti il cuore nei casi più gravi. Da qui la volontà di fare rete con altre famiglie e di cercare le risorse scientifiche più adatte per la ricerca e la cura. Quindi l’idea di lanciare una raccolta fondi che in soli cinque anni raggiunge oltre un milione e mezzo di dollari e finanzia un promettente progetto di terapia genica negli Stati Uniti per la cura di questa e altre malattie (le cosiddette distrofie dei cingoli). E infine la costituzione di un consorzio insieme ad altre due fondazioni americane che entro dieci anni intende far approvare cinque terapie.

Tutto questo è stato ottenuto grazie all’impulso di una famiglia di Talamona, piccolo paese montano in provincia di Sondrio. E costituisce un caso di eccellenza nell’associazionismo civico e nel fundraising “dal basso”.

A raccontarci la storia è la protagonista: Beatrice Vola, insegnante, mamma di quei due figli affetti da LGMD (Limb-girdle muscular dystrophy) 2E o deficit di Beta-sarcoglicano. «La diagnosi è arrivata nel 2003, – racconta – e per i primi quattro anni abbiamo girovagato da un’associazione all’altra e da un ospedale all’altro, in Italia e all’estero, senza trovare alcun tipo di aiuto e di informazione sulla malattia dei nostri figli. Solo nel 2008 siamo riusciti a individuare una persona con la stessa patologia, in una famiglia di Lecco. E poi il vuoto. Non c’era alcun progetto di ricerca che desse speranza ai malati».

I numeri non erano dalla loro parte: era una malattia troppo rara. «Abbiamo cominciato a partecipare a vari convegni scientifici sulle distrofie e le malattie neuromuscolari – continua Beatrice – , dal 2007 al 2010 abbiamo sostenuto altre associazioni e progetti di ricerca in Italia, che però non sono andati a buon fine. Ne volevamo uno che avesse possibilità concrete. La ricerca scientifica è sempre stata il nostro obiettivo».

Nel 2010 nasce il sito internet del GFB-Gruppo Familiari Beta-Sarcoglicanopatie onlus e comincia a formarsi una rete tra famiglie, medici, associazioni e persone interessate alla malattia. “L’uso di internet e dei social, in particolare di Facebook, – spiega la donna – è stato fondamentale per trovare gruppi internazionali di familiari di persone affette da patologie simili alla nostra, per unire i pochissimi malati in tutto il mondo”.

Nel 2011 la svolta. Tramite il sito conoscono una famiglia italiana con una figlia affetta dalla stessa malattia dei loro figli che era in contatto con il Nationwide Children’s Hospital di Columbus in Ohio, Stati Uniti, e aveva dei fondi da investire. Nasce così il progetto di terapia genica sulla LGMD2E, partendo da uno studio ventennale americano su una diversa forma di distrofia dei cingoli. Nello stesso anno le famiglie formano una commissione medico-scientifica appoggiandosi a dei ricercatori italiani per seguire il progetto americano e le sue potenzialità.

Nel 2013 viene costituita l’associazione GFB Onlus, anche grazie al supporto del Centro di servizio per il volontariato L.A.Vo.P.S. (oggi CSV Monza Lecco Sondrio), che ne ha seguito la gestione negli anni. In aprile il sodalizio organizza a Milano un convegno con i medici americani Jerry Mendell e Louise Rodino Klapac, per presentare il progetto. Vi partecipano le famiglie che il GFB aveva conosciuto tramite internet, da tutta Italia, dal Belgio e dalla Germania. “Abbiamo cominciato a far conoscere l’associazione e a sviluppare la raccolta fondi, ma ci sono voluti alcuni anni – ricorda Beatrice Vola. – Tramite Facebook, tra il 2014 e il 2016 siamo riusciti anche a seguire l’andamento delle prime iniezioni della terapia sulle persone affette da LGMD-2D”.

Nel 2015 l’associazione ha cominciato a diffondere la notizia del finanziamento del progetto sulla LGMD-2E. E con i primi risultati positivi la raccolta fondi è esplosa. “La nostra è una piccola associazione, – dice Beatrice – ma il messaggio che mandiamo è forte. Abbiamo avuto un impulso notevole su questo progetto perché abbiamo sempre comunicato tutto quello che facevamo sul sito e su Facebook: i fondi raccolti e il loro utilizzo, i risultati scientifici ottenuti, i bilanci dell’associazione. La forza del GFB sta proprio in questa informazione periodica e frequente”.

La raccolta fondi del GFB, che oggi si avvale anche di professionisti del settore, passa tramite il web e la messaggistica, ma anche cene, lotterie, teatri, l’attivazione di un prestito finanziario (Terzo Valore di Banca Prossima) e di due campagne sms. L’ultima è ancora in corso: sino al 17 febbraio si può infatti aderire alla campagna “Curiamoli 4.0” (hashtag #iltraguardoèvicino) con un sms o una chiamata da rete fissa al 45521. I fondi raccolti sosterranno la ricerca per la cura, attraverso la terapia genica, della distrofia dei cingoli, migliorando la qualità di vita di chi ne è affetto, riducendo i sintomi, aumentando la mobilità in tutti i distretti muscolari e le funzionalità respiratorie e cardiache.

Da giugno 2017 il GFB Onlus non è più il solo finanziatore del progetto, grazie alla nascita della Company Myonexus Thearapeutics costituita insieme a due fondazioni americane nate da gruppi di famiglie (LGMD2D Foundation e Kurt+Peter Foundation) e che si propone, entro il 2027, di ottenere l’approvazione di cinque nuove terapie specifiche per diverse forme di distrofie dei cingoli. Proprio quest’anno si partirà con la sperimentazione sui primi 6 pazienti a cui verrà iniettata la terapia per via sistemica, a dosaggi molto alti e in tutto il corpo, cuore compreso.

I primi 15 bambini trattati a Columbus con lo stesso vettore virale e affetti da atrofia muscolare spinale di tipo 1 (SMA1) sono tutti ancora in vita e, dei 12 che hanno ricevuto la dose maggiore, 11 sono in grado di sedersi senza assistenza, 11 possono deglutire autonomamente e parlare e 2 sono stati persino in grado di camminare.

Il traguardo però non è ancora stato raggiunto: l’obiettivo ultimo è quello di portare la terapia anche a Milano nel giro di pochi anni. E allora potranno beneficiarne anche i figli di Beatrice. “Abbiamo potuto constatare, – conclude, – che quello che succede in Italia succede anche all’estero, in paesi come l’Olanda e gli Stati Uniti: sono le piccole associazioni che riescono a fare andare avanti la ricerca.


Un dramma familiare che diventa rete di speranza

Testi a cura di Ilenia Pusterla
Foto gentilmente concesse da Gruppo Familiari Beta-Sarcoglicanopatie onlus



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