Salute

Io, primo testimonial anti cancro ancora malato

di Alice Monni

Matteo Losa ha 35 anni, da 12 lotta contro un tumore, ed è testimonial di Airc. «La sua storia è straordinaria perché dimostra quanto sia importante la ricerca. È riuscito a passare indenne attraverso una serie di prove impressionanti, ha imparato a convivere con la malattia ma anche con l’idea di essere malato», sottolinea il direttore scientifico dell'associazione Federico Caligaris Cappio

Rabbia, paura, gioia, tristezza, disprezzo, disgusto e sorpresa: sette emozioni ma anche i sette stati d’animo che attraversiamo quando un agente esterno scombussola la nostra quotidianità.

Per Matteo Losa, 35 anni, questo “agente esterno” è stato il cancro. Si è ammalato 12 anni fa, quando voleva diventare un calciatore professionista: con la malattia ha cambiato i piani e, come il soldatino di stagno della fiaba di Andersen, ha deciso di inseguire il suo secondo sogno, quello di diventare scrittore, e lo ha realizzato. Ha scritto il libro “Piccole fiabe per grandi guerrieri”, pubblicato da Mondadori e nato come progetto di crowdfunding su Internet: l’idea è piaciuta all’Airc, associazione italiana per la ricerca sul cancro, che lo ha sostenuto e scelto come testimonial.

«La prima reazione alla scoperta della malattia è stata la paura, una paura intensa, paura di morire e lasciare tutto quello che di bello stavo costruendo – racconta quando lo incontriamo nella casa dove vive a Inveruno, in provincia di Milano, insieme alla compagna Francesca e al cane Buzz – per fortuna l’operazione d’urgenza che ho dovuto subire è andata bene e dopo 11 giorni di ospedale e 11 chili persi sono tornato a casa, proprio il giorno della finale di Berlino. Dalla notte in cui l’Italia ha vinto il Mondiale io ho ricominciato la corsa verso il mio».

Il cancro ha cambiato tutto: «Progetti non ne puoi più fare, devono essere a medio termine nel migliore dei casi, se sei un ragazzo giovane che sta costruendo la sua vita è molto complicato. Ho dovuto imparare a ragionare per mesi anziché per anni, per obiettivi rapidi e sostenibili», dice. Dopo il primo rientro a casa Matteo si è rimesso in forma, nonostante la chemioterapia preventiva, con allenamenti «da solo con il mio cane e la mia fidanzata, con vomito e Gatorade che si intervallavano» ed è andato a Londra per fare un provino da calciatore professionista.

Quando il cancro è tornato ha dovuto rinunciare al primo e ha inseguito, e realizzato, il sogno numero due. «Piccole fiabe per grandi guerrieri parte dallo schema delle emozioni di base, quelle che tutti condividiamo, le prime che vengono squilibrate quando un’avversità sconvolge la nostra vita. La mia è stata il cancro, e quindi io ho cercato di mettere in luce i vizi e le virtù da seguire o evitare per affrontare le avversità nel miglior modo possibile. Sono fiabe classiche come quelle che ho sempre amato, dei Fratelli Grimm, di Andersen o Perraul” spiega Matteo. La sua preferita è quella del Criceto pettirosso “perché racchiude le mie speranze di vita e la mia relazione con Francesca, che collabora al progetto».

Dal 2017 Matteo è testimonial di Airc, primo non guarito della storia dell’associazione. Un traguardo che ha un sapore agrodolce: «Mi piacerebbe essere uno dei tanti guariti, ma allo stesso tempo è bello essere un pioniere. Adesso la malattia si cura di più in maniera conservativa, e questo sta dando il via ad una nuova generazione di malati che tecnicamente non sono guariti ma in termini di qualità di vita hanno delle possibilità che solo 10 anni fa potevamo solo sognarci».

Per Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Airc, Matteo è un Highlander: «La sua storia è straordinaria perché ha dimostrato di essere una persona straordinaria, dimostra quanto sia importante la ricerca. È riuscito a passare indenne attraverso una serie di prove impressionanti, ha imparato a convivere con la malattia ma anche con l’idea di essere malato che è la cosa peggiore perché ti avvelena la qualità dell’esistenza: Matteo ha trasformato la convivenza in qualcosa che permette di aiutare lui stesso e tutti gli altri».

Il fatto che la ricerca faccia continuamente passi da gigante, e dunque quanto sia importante sostenerla, lo dimostra l’esperienza di Matteo: «Quando ho iniziato a curarmi tornavo a casa dal day hospital oncologico con un macchinario che sembrava un orologio a cucù sempre attaccato al fianco, ogni dieci minuti sparava dentro la chemio che dovevo fare per 48 ore. Era pesantissimo, faceva baccano, era scomodo, invalidante in un certo senso. Quando ho ricominciato a fare lo stesso farmaco ho scoperto che la ricerca scientifica ha trasformato quell’orologio in una pallina di silicone che si svuota lentamente a pressione. Adesso non sembra neanche di averla addosso, la tieni in tasca, zero fastidio e la qualità della vita si alza tantissimo».

Sul cancro c’è ancora tanta omertà e poca voglia di parlare. Anche per questo Matteo porta la sua doppia esperienza di scrittore di fiabe e malato nelle scuole. «I ragazzi, soprattutto alle medie, non hanno filtri, se gli piaci ti danno tutto, e ti mettono di fronte alle domande che degli adulti non ti faranno mai come: hai paura di morire, quanto soffri per il cancro e cose del genere. Io non ho paura di rispondere, anzi mi fanno quasi un favore perché mi alleviano da tanti demoni che ho dentro», dice.

Del cancro bisogna parlare, dice anche Caligaris Cappio: «Io ho studiato all’università di Torino dove c’era un famoso filosofo che aveva coniato l’espressione “le parole sono pietre”. O hai il coraggio di dire le cose come stanno, chiamandole con il loro nome, il che ti permette di affrontare il problema sapendo bene cosa hai di fronte, oppure hai sempre la sensazione di fondo di ambiguità, la madre di tutti i pasticci». Secondo il ricercatore «è fondamentale che la gente accetti e capisca il concetto che la scienza è il motore del progresso e del benessere, abbia fiducia nella scienza anziché nei ciarlatani o in chi promette cose che non hanno base. È ovvio che per andare avanti è necessario avere dei fondi, la ricerca costa, però come disse il presidente Barack Obama quando presentò il primo grande progetto contro il cancro: se pensate che la ricerca sia costosa provate ad ammalarvi e ridiscutiamo la questione».

Matteo ha ancora tanti obiettivi da inseguire. «Sto lavorando ad un libro fotografico, sempre concentrato sulle fiabe, che sono il mio mondo e che non vorrei lasciare. Sto lavorando ad un romanzo, la scrittura e la fotografia sono i miei campi e il percorso che voglio continuare –rivela – se dobbiamo parlare di sogni ho sempre volato altro, finora con tanta sofferenza e tenacia mi è andata bene. Allora il sogno più grande sarebbe guarire, sarebbe il lieto fine migliore».


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