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Integrazione

Claudio, il combattente dall’animo gentile

di Luigi Alfonso

Arrivato dalla Romania quando aveva 19 anni, ormai si considera un sardo acquisito. La gente di Cabras lo ama: al suo primo incontro da professionista lo hanno seguito centinaia di persone per sostenerlo a gran voce. Una vita di sacrifici e rinunce. E un sogno: combattere per il titolo italiano

Oggi è un giorno importante, per Sorin Claudiu Lacatus. Compie 35 anni e lui si è fatto il regalo più bello con tre giorni d’anticipo: domenica scorsa, all’Horse Country Resort & Congress di Arborea, si è aggiudicato il suo primo match pugilistico da professionista. Ha iniziato tardi a incrociare i guantoni sul ring, quando ormai aveva 27 anni, e questo è il suo cruccio più grande. Ma la sua è una bella storia di piena integrazione che vale la pena di raccontare.

Claudio, come lo chiamano tutti i suoi compaesani di Cabras, arriva in Sardegna (esattamente a Riola Sardo) nel 2006. Proviene da una cittadina poco distante da Timisoara, nella regione orientale della Romania, per raggiungere il padre e lo zio. Insieme a loro, per un anno, fa il “servo pastore”. Inizia a raggranellare qualche soldo, sino a quando non trova lavoro in una segheria di Cabras, sempre nell’Oristanese. Lì c’è la vera svolta della sua vita perché, oltre ad avere un’occupazione stabile, conosce il nipote del suo principale, che frequenta una palestra di pugilato a Oristano. Per lui è un’illuminazione.

«Volevo togliermi la soddisfazione di fare un match, così mi sono presentato alla Corner Gym Boxe», racconta Claudio. Il tecnico Marcello Loi conferma: «Il primo giorno mi chiese se potesse fare un incontro, tanto per provare. Soltanto uno. Gli dissi di fare qualche allenamento di prova, per capire se avesse la stoffa, ma lui insistette. Doveva fare un solo incontro con uno dei miei ragazzi, ovviamente non ufficiale, invece non ha più smesso».

Da allora le sue giornate sono un po’ tutte simili. Sveglia alle 5.30, poi subito nei boschi a tagliare legna, quindi alla segheria. Di sera in palestra. Nel 2015 il suo esordio tra i dilettanti: primo incontro e prima vittoria. Da allora non si è fermato. «Ho la boxe nel sangue, mi piace più di qualunque altra cosa. Mi aiuta a scaricarmi, mi ha dato modo di raggiungere un equilibrio psicofisico. Lavorare in palestra non è un impegno faticoso. Quando metto i guantoni, mi sento un altro: riposato, pieno di energia, libero».

Domenica scorsa ha dimostrato di potersi levare qualche soddisfazione anche tra i pro. Ha battuto nettamente ai punti l’inglese Charles Michael Aristide, in un incontro dei pesi welter sulla distanza delle sei riprese. Alla serata hanno assistito alcune centinaia di persone, metà delle quali è giunta da Cabras per sostenere Claudio. «Mai vista tanta gente tutta per me, non mi aspettavo un’accoglienza del genere. È stata una grande sorpresa. È una bella soddisfazione, mi fanno sentire davvero uno di loro».

In sedici anni di permanenza nell’Isola, inevitabilmente ha acquisito uno spiccato accento sardo. «Mi sono integrato facilmente, la gente con me è stata affettuosa sin dai primi tempi, non hanno mostrato pregiudizi. Se ti comporti bene, se rispetti il prossimo, il bene ti torna indietro. Questa è una delle regole che ho imparato».

L’approdo tra i professionisti non gli cambierà la vita. «Credo di poter dare il meglio per altri due anni. Fisicamente sto bene, mi alleno regolarmente e conduco una vita sana. Ma per me cambierà poco o niente, continuerò a lavorare come ho sempre fatto. Mattina e sera. Se uno mi chiama, vado a spaccare legna anche la domenica. Certo, di tempo per me ne resta poco, e questo è un problema nei rapporti con le donne: molte di loro non amano e non capiscono il pugilato e i sacrifici che bisogna fare per stare a questi livelli. E se mi chiedono di fare una scelta, non ho dubbi: per ora scelgo la boxe. Ci sarà tempo per mettere su famiglia».

I sacrifici non gli pesano. E lui ne ha fatto tanti anche per aiutare la madre, che dodici anni fa (dopo aver divorziato dal padre di Claudio) lo ha raggiunto a Cabras con il fratellino, che allora era un bambino. «In quel periodo – racconta lui – mia mamma faceva la badante a una persona anziana del paese e non poteva accudire Emanuele Jorge. Così, tra i miei vari impegni, pensavo anche a lui: lo accompagnavo a scuola e lo riprendevo, lo seguivo come potevo. Gli ho fatto da padre e da madre per diversi anni. Bisognava dare una mano in casa, e l’ho fatto senza tirarmi indietro. Era giusto così. E quando i soldi non bastavano, andavo a pescare di notte, in scooter, anche sotto la pioggia e con un freddo che faceva battere i denti. Oggi mio fratello ha 23 anni, sta lavorando in prova in un panificio. Di notte. Sì, la nostra è una vita di sacrifici e di rinunce. Ma io sono felice. Ho sempre guadagnato soldi onesti perché non siamo una famiglia di ladri. La Romania? Non mi manca per niente. Non rimpiango l’ambiente della mia città natale. Qui mi trovo decisamente meglio».

Ha un cognome famoso («In tanti mi chiedono se sia parente di Marius Lacatus, l’ex calciatore della nazionale romena che ha giocato nella Fiorentina, ma lo conosco soltanto di fama») e le idee chiare. «Il mio obiettivo è quello di maturare altra esperienza e arrivare a battermi per il titolo italiano. È un peccato essere arrivato tardi a incrociare i guantoni. Lo sport mi permette di stringere tante amicizie, è la mia vita. Per questo, al momento, non posso permettermi una relazione impegnativa».

«È un generoso autentico», commenta Marcello Loi. «Nella mia palestra è colui che tira sempre la carretta, un esempio per tutti: il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. Un uomo umile, sensibile ma tenace. Non gli ho mai sentito dire una parola fuori posto. Ha sempre accettato in silenzio anche i verdetti discutibili. Ha sempre vissuto del poco che aveva. È affabile con tutti e, per questo, la gente gli vuole un bene dell’anima».

Auguri, Claudio!

Credits: foto Max Casula e Pietro Calvisi


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