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“Società attiva” storia di un neologismo

Alla ribalda nelle ultime esternazione del Premier, "Società attiva" è adesso un libro. Interessante, prismatico, ma un po' troppo teorico. Nato nel solco del riformismo lombardo... e non solo

di Riccardo Bagnato

In principio fu la Strategia europea per l?occupazione (SEO), avviata dal Consiglio straordinario sull’occupazione di Lussemburgo (novembre 1997). Seguì il Consiglio di Lisbona del 2000, in cui si confermò l'”ambizioso obiettivo di fare dell’Europa – entro il primo decennio del nuovo millenio – l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Ma soprattutto in cui si parlò, per la prima volta in un documento politico, di società attiva. Da allora questo neologismo, società attiva ha avuto un andamento carsico, spuntava qua e là, faceva capolino – come dicono quelli nei romanzi – in qualche esternazione o documento. Ora, invece, sembra che stia guadagnando strada. Messa in disparte l’idea di una “società aperta” (definizione promossa dal magnate George Soros), da qualche settimana infatti lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sta premiando tale neologismo grazie alle proprie esternazioni. Curioso, no? Riforme come quelle “della scuola, del lavoro e delle pensioni, – ha detto – servono ad aprire le porte della società attiva ai piu’ giovani, offrendo loro migliori percorsi di formazione, nuove opportunita’ d’inserimento nel mondo del lavoro e maggiori garanzie per il futuro”. E’ quanto ha infatti spiegato il presidente in un messaggio inviato il 27 novembre scorso ai giovani azzurri riuniti ad Arezzo per il terzo seminario di formazione (Ansa). Espressione utilizzata in altre circostanze negli ultime settimane, tanto da far venire il sospetto che vi fosse, sotto sotto, qualcosa in più. Un’idea, un progetto? Non che bisognasse cercare molto, anzi. Bastava guardare fra le novità editoriali, e scoprire che Marsilio ha dato alla luce un nuovo saggio dal titolo “La società attiva. Manifesto per le nuove sicurezze“. Gli autori? Maurizio Sacconi (Sottosegretario al Lavoro e le Politiche sociali), Paolo Reboani (responsabile della Segreteria tecnica del Ministro del Lavoro) e Michele Tiraboschi (ordinario del Diritto del lavoro all?Università di Modena e Reggio Emilia). Un libro che “farà scuola” come scrive Raffaele Iannuzzi recensendolo sul sito di Forza Italia. Ma cos’è la società attiva? Sacconi stesso, intervistato dal settimanale Tempi, risponde a tono: si tratta di una società “con grande attenzione al capitale umano, dinamica, flessibile, reattiva, giusta perché sa includere continuamente le persone valorizzandole e quindi incrementando ulteriormente il tasso di capitale umano in un circolo virtuoso che fa insieme competitività e giustizia sociale.” E fin qui… ma procediamo “significa rimettere in discussione le istituzioni divenute oramai occlusive perché condizionate da un approccio ideologico secondo il quale il buon lavoro è solo quello e nient?altro che quello (prima causa del boom del lavoro nero), la buona scuola è solo quella (prima causa dell?abbandono scolastico).” Cioè? “Rimodellare le istituzioni, questo deve essere l?imperativo. Nella seconda metà del Novecento certe ideologie hanno pesato più delle forze politiche che le rappresentavano: persona, famiglia e comunità, come non ricordare che nella seconda metà del Novecento questi valori sono stati negati, respinti, annichiliti? La centralità di classe e il conflitto hanno condizionato la vita politica e sociale ben oltre l?ambito di competenza e influenza delle forze politiche dichiaratamente marxiste.” Adesso è tutto chiaro. Compresibile, per altro, un accento alquanto astioso visto il luogo in cui viene ospitata l’intervista. Tuttavia, rimane da chiarire solo una cosa: cos’è la società attiva? Per fortuna c’è Sandro Bondi. Il Coordinatore nazionale di Forza Italia coglie l’occasione e riflette insieme a noi: “Il riformismo è prima di tutto una questione di intelligenza che si coniuga con l?aspetto morale dell?etica della responsabilità. Fino al punto di affermare: qui sono arrivato e di qui non mi muovo. E? per la duplice assenza di razionalità autenticamente critica e di etica della responsabilità weberiana che la sinistra non è a tutt?oggi in alcun modo riformista. E invece una vera politica di cambiamento non può che essere riformista sotto il profilo razionale e morale, come ho affermato poc?anzi. Ad esempio: come si può non cogliere oggi che “la società attiva è garanzia per una migliore qualità della vita e offre maggiori opportunità per tutti coloro che ad essa partecipano”?”. Già, come è possibile? Rimane solo un piccolo, insignificante, interrogativo: che cos’è una società attiva? Eppure ne parla l’intervento di Roberto Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali a Bruxelles, il 21 gennaio 2004, presso la Commissione per l’Occupazione e gli Affari Sociali del Parlamento europeo; la dichiarazione congiunta italo-britannica in occasione dell’incontro fra Berlusconi e Blair il 4 marzo 2004; e, come se non bastasse, a dimostrare la pervasività di tale definizione, anche il senatore diessino Angelo Flammia su Liberazione, il 9 luglio scorso: “Sarebbe anche logico – scrive il senatore – che al patto (fra i partiti del centro sinistra, ndr) ci si sforzasse di dare uno statuto, capace di regolarne la strategia e la vita quotidiana: quattro-cinque principi di fondo e scelte strategiche inderogabili per tutti i contraenti e regole chiare,a garanzia della dialettica e della pluralità,non solo dei partiti ma dell?intero e complesso mondo della società attiva e partecipe. Così, non so voi, ma qualche dubbio su cosa sia effettivamente la società attiva rimane. Niente da fare, prendiamo in mano il libro. Carta canta, o quasi Affezionati alla vecchia espressione “società civile” avevamo l’impressione che per società attiva (neologismo estremamente efficace) s’intendesse qualcosa di simile. Certo, non proprio la stessa cosa, ma simile. Il fatto, poi, che a introdurre il libro “La società attiva” di Marsilio fosse lo stesso Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nonché presidente della Agenzia per le Onlus, ci aveva confortato in questa direzione. E in realtà, in parte, è così, ma non del tutto. Distinguo di non poco conto in verità. Attraverso il testo è infatti possibile non solo rintracciare qualche linea di fondo in questo senso, capire di cosa si tratta, ma – ed è qui la cosa più interessante – cogliere il tentativo (d’altra parte è un “manifesto”) di rendere organica una dottrina economica e sociale che affonda le sue radici in Lombardia (con un pizzico di Emilia), in quell’humus culturale ed imprenditoriale che trova nella Lega Nord e, in parte, in Forza Italia una sua traduzione politica. Lo dice lo stesso Ornaghi: “Sotto la coltre di vecchie e resistenti incrostazioni di idee e di opinioni, nel cuore profondo di molte regioni (sic, ndr) è maturata una sorta di rivoluzione silenziosa. Ed è anche dai sommovimenti di una tale rivoluzione che ulteriormente si rafforza, adesso, la necessità di una visione di società attiva“. Rimane da riflettere se sia o non sia un pregio aver collegato tale dottrina al sociologo e opinion maker Amitai Etzioni; di aver dato a lui, cioè, la paternità del neologismo “società attiva”, come vorrebbe Ornaghi. Personalità controversa, Etzioni, rivela infatti, con una certa approsimazione, il marchio di fabbrica: esponente di punta della cosiddetta scuola neo-comunitaria, in sintonia con quello che viene detto un suo allievo, George W. Bush, il sociologo non è proprio quello che si potrebbe definire persona neutra, al di sopra delle parti, anzi. Ma peu importe. Nell’espressione “società attiva” sono evidenti da un lato la centralità del mercato del lavoro e dall’altro il concetto di “capitale umano”, della persona. Una visione quindi prevalentemente economicistica, liberista, proattiva, anche dei rapporti sociali, sebbene il rischio di tale deriva (di deriva economicistica intendiamo) sia avvertito sia dagli autori del libro che dal prefattore. In cui il punto focale è: riequilibrare la spesa sociale in favore di una società della conoscenza, per cui i luoghi eletti sono: la famiglia, l’università e il mercato (formazione). Un libro molto interessante, anche se tende a diventare parabola incompleta delle azioni governative, senza mai toccare i nodi dolenti del presente – la realtà – proiettando sulla teoria tante buone intenzioni. Un esempio? La famiglia. Ritenuta centrale, luogo di eccellenza per la formazione, ma su cui il Governo ha fatto ancora poco. O l’Università, e soprattutto la Ricerca, per cui gli investimenti sono esigui, per non dire inesistenti. E in ultimo il mercato del lavoro, per cui in verità molto è stato fatto, ma non convince tutti. Specie, guarda un po’, la società civile, che proprio oggi è scesa in piazza per la prima volta a fianco dei sindacati, contro la Finanziaria. Perché, dice bene Ornaghi nella prefazione al libro “Non vi può essere alcun riformismo politico genuinamente democratico se esso non è, nella sua anima, riformismo sociale” e ribadiscono correttamente gli autori, quando insistono sull’imporanza del welfare come chiave per “riattivare” l’economia, ma non è un caso se società civile e società attiva sembrano oggi più distanti che mai. Se società attiva rischia di essere una definizione azzeccata ma lontana. E società civile, per gli autori, un straordinario patrimonio sociale, a cui dedicare però uno striminzito capitoletto fitto di cifre e volumi economici. Se non si colgono, infine, al di là delle espressioni, le ragioni che ancora informano chi fa del mercato sensu strictu il luogo per ogni cosa e chi no. Che il laboratorio del riformismo lombardo, da cui prende vita il libro, come in altri casi famosi (riassumibili nelle famose tre “B”: Bettino, Bossi e Berlusconi), rischia l’autismo politico a fronte del contesto nazionale. Insomma, che società attiva e società civile non sono la stessa cosa, e che nella migliore delle ipotesi, la prima ha bisogno della seconda. Più di quanto autori e prefattore possano pensare.


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