Mondo

4 novembre, finisceb«l’esecrabile corsa all’oro»

di Redazione

I l 4 novembre, comunque vada, finirà un’epoca. Finisce in malo modo, avvelenata dalle scorie di una globalizzazione devastante e asimmetrica, sepolta dalle schegge di guerre inutili che ha disseminato qua e là per il mondo, e annichilita dalla più pesante débâcle economica che il mondo occidentale abbia vissuto dal dopoguerra in qua.
Obnubilati da un modello che sembrava non presentare difetti, né tanto meno temere alternative, non ci siamo resi conto, in questi 15 anni di pax americana, di quale mondo crescesse intorno a noi. Un economista francese con un curriculum di tutto rispetto, Jean Peyrelevade, (è stato ad del Credit Lyonnais della Compagnie financière de Suez) a questo proposito ha coniato una formula efficace per descrivere la deriva in cui il mondo ricco si è abbandonato senza nessuna consapevolezza. Lo ha definito «capitalismo totale». È il capitalismo azionista di fronte a cui gli Stati hanno battuto in ritirata e che ha definito in questi anni la sfera pubblica del mondo, confinando brutalmente la politica in una funzione servile. I numeri non lasciano dubbi riguardo a queste dinamiche. Come scrive Peyrelevade nel libro che prende proprio il titolo di Capitalismo totale (in Italia è stato tradotto da Isbn edizioni quest’anno, ma la sua prima pubblicazione risale al 2005), il vero potere è scivolato nelle mani dei 300 milioni di azionisti e in particolare di chi li rappresentava (in prima linea i grandi fondi pensione americani). In questi anni la ragione ultima delle imprese, svincolate da ogni organismo di controllo, è stato quello di creare valore a profitto dei detentori del capitale. Abbiamo assistito per anni a crescite del valore azionario del 10% annuo, a cui si andavano ad aggiungere anche i dividendi. Come si faceva a creare una crescita di ricchezza per quella élite del mondo nell’ordine del 15% annuo? Creando una categoria di schiavi perfetti, i ceo americani, gli ad di casa nostra, pagati all’inverosimile, ma capaci di strategie spregiudicate. Se nel 1965 lo stipendio di un chief executive officier era in media di 44 volte più alto di quello di un operaio, oggi quel rapporto si è moltiplicato di quasi venti volte: il guadagno medio di un ceo è circa 700 volte il salario medio di un operaio. Gli strumenti per attuare questo continuo accumulo di ricchezze sono stati quelli “venduti” dalla grande stampa come belle favole: le stock option, le fusioni, la globalizzazione raccontata come libero flusso dei mercati e che in realtà era uno strumento per ottenere margini di redditività maggiore. Le grandi banche d’investimento sono diventate i veri arbitri del sistema, occupando di fatto anche le banche centrali: l’attuale segretario del Tesoro americano Hank Paulson sia stato il numero uno di una delle maggiori di queste banche, la Goldman Sachs. Oggi quel meccanismo destinato a produrre infinita ricchezza virtuale per pochi, si è bloccato. La bolla che faceva volare il valore delle azioni ben al di là della crescita dell’economia reale si è sgonfiata. «L’esecrabile corsa all’oro» (Virgilio) ha portato il mondo sull’orlo di un baratro. Chi vincerà il 4 novembre (sperando che sia Obama), avrà davanti a sé un compito terribile.

Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?

Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it