Mondo

683mila gli sfollati per i bombardamenti

Un'operazione contro i talebani sta creando un'emergenza umanitaria. Gli interventi del Cesvi

di Redazione

Sono già 683.550 gli sfollati nelle regioni di KPK e FATA e sono circa 3.000, secondo gli ultimi dati OCHA, le famiglie che ogni giorno arrivano nel campo Jalozai, Nowshera. Non si ferma il numero delle persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa dell’operazione di sicurezza, tuttora in corso, condotta dal Governo nel nord-ovest del Pakistan. L’azione, avviata già da alcuni mesi, mira ad eliminare le milizie talebane -per lo più gruppi fondamentalisti pakistani e afghani di diverse provenienze ideologiche- presenti nella zona. Nel corso di queste operazioni, che pare si protrarranno per i prossimi sei o nove mesi, interi villaggi vengono bombardati. Gli abitanti sono avvertiti con un minimo di preavviso, talvolta solo il tempo di recuperare pochi averi personali. 

Il Forum Umanitario Pakistano (PHF) e il Network Umanitario Internazionale (NHN) hanno raccolto dati che mostrano una situazione preoccupante in tutto il distretto. Il timore principale riguarda le famiglie sfollate che vivono in condizioni di sovraffollamento senza riserve di cibo e acqua, servizi igienici e assistenza sanitaria, nonché con limitate opportunità di guadagno. Dopo aver camminato per due giorni solo il 10% di queste famiglie si stabilisce nel campo di Jalozai, dove le persone registrate possono avere accesso a beni essenziali quali cibo e tende, e ricevere assistenza sanitaria di base. A causa dei vincoli culturali e dei problemi di registrazione, il restante 90% degli sfollati decide di vivere presso comunità ospitanti o di spostarsi in aree abitate da altre famiglie. Tale scelta provoca un eccessivo sovraffollamento e ribellioni, nonché una mancanza di cibo e acqua, e una pressione insostenibile sui mercati locali già molto poveri. I minori non possono andare a scuola e vengono impiegati in lavori spesso pesanti.

La comunità internazionale, in coordinamento con il governo e le autorità locali, ha sviluppato un piano per far fronte alla situazione degli sfollati per almeno i prossimi 9 mesi. In risposta a questa emergenza Cesvi, presente nel Paese dal 2006, si è mobilitato con un’attività di monitoraggio nell’area di Nowshera, avviata a metà marzo e all’indomani del primo grande afflusso di sfollati nel campo di Jalozai e nelle aree circostanti. “Il Cesvi è stato tra le prime ong ad organizzare team di lavoro e a svolgere un rapido monitoraggio dei bisogni sia all’interno del campo sia all’esterno, in coordinamento con l’Ong Iscos/CISL –spiega Pietro Fiore, rappresentante del Cesvi in Pakistan-. L’attenzione è rivolta in modo particolare alle famiglie più vulnerabili, con un elevato numero di bambini o con nessuna possibilità di guadagno. Tali famiglie hanno più che mai bisogno di un supporto data la criticità della situazione. Oltre alla distribuzione di beni non alimentari – in primo luogo tende e ripari – Cesvi ha avviato attività di cash for work con l’obiettivo di generare un piccolo reddito per le famiglie sfollate e soddisfare così le loro necessità di base in maniera flessibile”. In particolare Cesvi coinvolge gli sfollati nella creazione di canali di raccolta delle acque piovane all’interno del campo, attività fondamentale in vista della stagione monsonica per arginare il rischio di allagamenti. Completata la realizzazione di tali canali, si procederà poi alla pulizia e riparazione del sistema di drenaggio.

L’ong italiana si sta occupando anche della sicurezza alimentare nel distretto, sostenendo le attività di allevamento degli sfollati e delle famiglie ospitanti. “In queste aree rurali l’agricoltura e l’allevamento sono le principali fonti di sostentamento della popolazione. La vendita di bestiame -spesso a prezzi inferiori- e la riduzione della produttività agricola sono fra i problemi principali. Per questo motivo abbiamo attivato distribuzioni di mangimi nutrienti e di vaccini che aiutano a migliorare la produzione animale. Queste azioni risultano fondamentali per garantire la sicurezza alimentare della popolazione”, conclude Fiore. 

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