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Cooperazione & Relazioni internazionali

Myanmar, la vigilia di una svolta?

Un Paese rimasto fuori dal contesto internazionale durante i 50 anni di regime militare e recentemente colpito da forti alluvioni causate dal ciclone Komen lo scorso agosto: questo è lo scenario che si apre all’indomani delle elezioni politiche, in cui la speranza di un cambiamento si contrappone a una situazione critica

di Lorenzo Maria Alvaro

Un Paese rimasto fuori dal contesto internazionale durante i 50 anni di regime militare e recentemente colpito da forti alluvioni causate dal ciclone Komen lo scorso agosto: questo è lo scenario che si apre all’indomani delle elezioni politiche, in cui la speranza di un cambiamento si contrappone a una situazione critica, specialmente nelle zone remote del Paese dove molte famiglie continuano a combattere ogni giorno per ricostruire le capanne spazzate via dal ciclone e per guadagnare almeno un pasto al giorno. In Myanmar Fondazione AVSI lavora dal 2007 al fianco della popolazione in progetti agricoli e educativi. Una cooperante (di cui per motivi di sicurezza diamo un nome di fantasia) racconta il clima che si respira nel paese: «Ad oggi sembra quasi che l’atmosfera calda delle elezioni si percepisca solo nella vecchia capitale, Yangon, dove vivo da ormai tre anni».

«La situazione a Yangon è apparentemente e relativamente tranquilla», sottolinea Claudia, «ma si respira comunque un’aria di tensione e soprattutto di forte controllo da parte dei militari. Sono stati mobilitati più di 40.000 militari reclutati dalla Myanmar Police Force che controllano i vari quartieri e stazionano check point presso cui sono stata spesso fermata durante i miei tragitti. I militari rinforzano I controlli durante le ore serali, quando tutti i bar e i ristoranti hanno l’ordine restrittivo di chiedere alle 11; pena la chiusura forzata del locale e un eventuale processo alla corte birmana per i proprietari e gestori. Tutti ci aspettiamo che questa misura diventi ulteriormente restrittiva nelle prossime settimane quando tutti i locali e i luoghi normalmente frequentati da espatriati rimarranno definitivamente chiusi».

«La giunta militare è cosciente della grande attenzione che la stampa dedicherà alle elezioni in Myanmar, che verranno osservate da una commissione ad hoc, la UEC (Union Election Commission), che ha reclutato centinaia di osservatori arrivati in Myanmar da tutto il mondo per assicurarsi che le elezioni siano “fair and free” come hanno annunciato sin dall’inizio dall’8 settembre, quando ha preso il via ufficialmente la campagna elettorale per il voto dell'8 novembre prossimo – continua Claudia – In città si percepisce un clima nettamente favorevole al partito democratico di San Suu Kyi, l’NLD, National League of Democracy. La figura della “Signora” ha rappresentato un incredibile catalizzatore per l’opinione pubblica mondiale nell’ultimo ventennio, perché ha messo in evidenza come il voto rappresenti per il suo popolo “una reale occasione per un reale cambiamento”. Il simbolo rosso e giallo del partito viene sbandierato ovunque: sui cartelloni lungo le strade, sui taxi, durante concerti organizzati in favore del partito. Quello che tuttavia colpisce di più è vedere giovani ragazzi che camminano per strada indossando la maglietta del partito, liberi almeno di esprimere un’opinione. Ciononostante il Myanmar rimane al centro del dibattito a proposito di violazione dei diritti umani perché ci sono ancora molti prigionieri politici detenuti nelle carceri birmane e ancora frequenti episodi di violazione della libertà di espressione».

«Vivere questo particolare periodo storico del Myanmar, la mia seconda casa, rappresenta un momento cruciale del mio percorso professionale – conclude Claudia – ma soprattutto della vita che condivido con le comunità locali con cui lavoro, mi confronto e soprattutto insieme alle quali custodisco la speranza che la democrazia vinca e i diritti umani diventino la chiave per il progresso e lo sviluppo per il popolo birmano».


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