Volontariato

Ulivieri, il campo è piccolo per me

Intervista a uno dei personaggi più anticonformisti del calcio. Che non ha paura di dire la sua. Dalla guerra alla Fiorentina, da Baggio a Emergency, ai vizi dei calciatori

di Redazione

L?appuntamento è a San Miniato Basso, di fronte alla Casa culturale. Renzo Ulivieri è nella sua terra e tra la sua gente. Ha terminato da poco una battuta di caccia, in una mattinata grigia e umida: scende dall?auto e ha una divisa da cacciatore impeccabile, anche se un po? troppo pulita. «Sono venuto apposta da Parma per incontrare degli amici», ci confida, «ma stasera devo tornare a casa». Ridacchia sotto il baffo, Ulivieri, anche perché, da quando ha lasciato il Parma, è diventato uno zingaro.
«La mia famiglia è ancora a Parma, sto terminando una casa qui a San Miniato e nel frattempo sono in affitto a Empoli». Entriamo in un bar: un aperitivo e una domanda a bruciapelo: «Andrà a fare il commentatore in tv?». «No davvero», risponde, ammiccando un sorriso, «il mio mestiere è quello di allenatore. Tornerei ad allenare anche domani perché questa è la mia vita. Non ho voglia di smettere».
Vita: Per cosa vale la pena oggi amare il calcio?
Renzo Ulivieri: Io amo il campo, l?allenamento, i rapporti con i giocatori, la partita: l?essenza del calcio, la parte più vera.
Vita:È cambiato il modo di fare l?allenatore?
Ulivieri:Per me poco, e io alleno da più di trent?anni in tutte la categorie. Di fronte a te ci sono sempre ragazzi da educare. Penso che questo sia l?aspetto fondamentale del nostro mestiere, anche se ho il dubbio che la sua importanza non sia colta da tutti; mi sembra che il suo posto sia diventato sempre più marginale.
Vita: I calciatori: giovani viziati e indifferenti, o cos?altro?
Ulivieri: Attenzione. Secondo me qui si cade in un grosso equivoco. Il mondo del calcio non è un?entità astratta, isolata dal contesto reale. Questi ragazzi hanno l?handicap di arrivare troppo presto a occupare posizioni di rilievo, anche economiche, che nella vita comune richiedono certamente più tempo e fatica. Ma rimangono pur sempre dei giovani. Non si può chiedere loro, solo perché sono calciatori professionisti, una maturità che non possono avere, così come non l?hanno i loro coetanei che non giocano al calcio. Hanno il diritto di sbagliare. E devono essere corretti.
Vita: Lei ci tiene a far passare questi concetti: parla lentamente e attendere che si sia finito di appuntare la risposta, e magari ci terrebbe a controllare che sia stato scritto tutto. Ha mai pensato di scrivere un libro?
Ulivieri: No, l?ha già fatto Baggio? uno che con me ha giocato più che con qualsiasi altro allenatore. Si è lamentato dicendo che io ho avuto atteggiamenti da protagonista, ed è vero: l?allenatore è, comunque, un protagonista, è insito nel suo ruolo? non vedo perché dovrei chiedergli scusa. Piuttosto devo scusarmi con Marocchino (ala destra degli anni 80, ndr) che ho sempre fatto giocare poco.
Vita: Mister, lei di solito parla diritto. E allora le butto lì il nome di un collega: Malesani. Che dice?
Ulivieri: Davanti alla mia panchina l?aeroplanino non l?ha mai fatto. Malesani è uno così, ma talvolta eccede e si fa fatica a capirlo. Così come io faccio fatica a capire il giocatore che non esulta se fa gol alla sua ex squadra…
Vita: Forse perché c?è ancora il sentimento nel calcio?
Ulivieri: Non è questo il punto: chi è stato educato ai sentimenti li ha, punto. E sa cosa è importante. Ci sono calciatori che sono stati educati a questo e che sanno che i soldi non risolvono i problemi esistenziali; non danno risposte alle vere domande della vita. Ma questo è un concetto che va al di là del calcio: è tutto l?uomo che deve essere ripensato, occorre una riscoperta dei valori, si sente il bisogno di un nuovo umanesimo. Prendiamo questa guerra: il terrorismo è un nemico da sconfiggere, ma la politica mondiale ha commesso errori madornali. Quando l?umanità arriva a risolvere i problemi con una guerra o sbaglia in quel momento o ha sbagliato prima? Io credo nella democrazia e penso che sia fondamentale fare politica, il più direttamente possibile. Niente deleghe e forti ideali. Quand?ero ragazzo ci credevo davvero in ?baffone? Stalin. Qui in paese tutti ci credevano. Poi le cose sono cambiate, e anch?io. Ma gli ideali sono rimasti.
Vita: Ha aderito all?appello di Emergency?
Ulivieri: Sì, perché ne sono convinto. Anche i miei giocatori, a Parma, lo hanno fatto. È stato importante: io sono dell?avviso che se un calciatore agisce con finalità sociali deve dar visibilità ai suoi gesti e alla sua testimonianza. Certo deve crederci, e talvolta ho l?impressione che certe iniziative non siano così sentite.
Vita: Lei guidò la Fiorentina vincitrice del Torneo di Viareggio nel ?78. Che ricordi ha di quella stagione?
Ulivieri: La Fiorentina è nel mio cuore. Purtroppo per me rimarrà un sogno sedere sulla sua panchina.
Vita: Forse è meglio così, data l?attuale situazione dei viola.
Ulivieri: Non è la Fiorentina a vivere un brutto momento. È tutto il calcio che sta passando mesi difficili. I mali sono tanti. Ciò che è indubbio è che la Federazione non deve essere sminuita a vantaggio delle Leghe. Il problema è che non c?è credibilità, e per ricostruirla ci vorrà tempo.

L?aperitivo è finito. È il momento di tornare a Parma, il mister ha fretta di riabbracciare sua figlia di due anni e mezzo. «È stata una gioia incredibile essere tornato padre dopo trent?anni. Anche se, quando sono a passeggio con lei, in tanti mi fanno i complimenti per la bella nipotina?».

di Nicola Calzaretta

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