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Droga e adottati: è vero che sono loro i più a rischio?

Nel viaggio fra adolescenti e droga fatto sul nuovo numero di VITA, diversi interlocutori hanno portato l'attenzione sui tanti ragazzi adottati che ci sono fra quanti hanno problemi di abuso di sostanze. Abbiamo affrontato il tema con Marco Chistolini (psicologo, referente scientifico del Ciai) e Monya Ferritti (presidente del CARE)

di Sara De Carli

Non un’etichetta, ma un faro di luce per richiamare l’attenzione. In questo viaggio fra adolescenti e droga, diversi interlocutori hanno segnalato come fra chi ha problemi di abuso di sostanze e fra chi arriva in comunità – siano esse educative o terapeutiche – ci siano spesso ragazzi adottati con l’adozione internazionale. Non sono statistiche le nostre, solo testimonianze che raccontano di come essi siano più presenti di quanto sarebbe lecito aspettarsi in base a quanti sono, sul totale degli adolescenti, quelli adottati: un po’ come accade (lì però ci sono anche dati) rispetto ai problemi di salute mentale.

Spiegarlo non è difficile: «questi ragazzi hanno subito esperienze traumatiche, non ci deve sorprendere che abbiano una maggiore probabilità di avere problemi rispetto ai coetanei soprattutto in Italia, dove le famiglie accolgono anche preadolescenti con storie complicate», afferma Marco Chistolini, psicologo, referente scientifico del Ciai. «Per molti di loro l’uso di sostanze ha inizialmente un effetto “terapeutico”: è un modo per contenere l’angoscia e la rabbia che hanno dentro. Detto questo però, bisogna considerare però che gli adottivi sono una categoria ben identificabile, altre variabili lo sono meno e per questo magari non destano allarme. Aggiungo anche che nei fatti c’è una minor tutela del legame adottivo rispetto al legame di sangue: la loro maggior presenza in comunità si spiega anche così». […] Monya Ferritti invece è la presidente del CARE-Coordinamento Associazioni Adottive e Affidatarie, che conta 37 aderenti: «Quello che vedo è che le famiglie che dopo l’adozione rimangono agganciate a un’associazione riescono a individuare precocemente eventuali criticità adolescenziali e ad attivarsi grazie anche alla rete fornita dall’associazione, mentre quelle più isolate rischiano di chiedere aiuto solo quando non ce la fanno più, ovvero quando è troppo tardi. La differenza mi sembra questa: non c’entra la tipologia di ragazzo, c’entra l’isolamento della famiglia». […]

Clicca qui per leggere l'intero articolo e tutto il capitolo dedicato agli adolescenti sul nuovo numero di VITA, Droga Blackout Italia, in particolare il"think tank" con Daniele Novara che si rivolge ai genitori, Alberto Pellai che si rivolge agli adulti perché siamo tutti coinvolti, il dirigente scolastico Angelo Lucio Rossi che parla di scuola, il presidente di Telefono Azzurro Ernesto Caffo che ragiona sul web e Josè Berdini e Giuseppe Mammana, della comunità Pars.


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