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Referendum costituzionale, Costalli pronto a schierarsi per il no

Dialogo col presidente del Movimento cristiano del lavoratori: «Per adesso è una posizione personale, ma i corpi intermedi non possono pensare di chiamarsi fuori da questo dibattito».

di Redazione

Sono giorni di grande fibrillazione in casa Mcl spesi fra fitte telefonate e riunioni a porte chiuse. La notizia non, ma il Movimento cristiano dei lavoratori è pronto alla battaglia referendaria.
A settembre il presidente Carlo Costalli infatti schiererà il suo Movimento a favore del no. Come e in che termini lo lascia trasparire in questa intervista.

Costalli sono le ragioni che la spingono a schierarsi per il no al referendum sulla riforma costituzionale?
Innanzitutto il metodo: si tratta di una riforma costruita su un continuo forcing dell’esecutivo, che su questo tema ha volentieri evitato un confronto costruttivo e propositivo con le minoranze rappresentate in Parlamento. È sbagliato svilire lo spirito di una riforma della Carta Costituzionale, riducendolo a meri risultati del Governo da portare a casa a tutti i costi. Quello che ne viene fuori è un testo ibrido, incapace di fare chiarezza, approssimativo e superficiale, che darà luogo a tante ambiguità e vuoti interpretativi. Tant’è che molti sostenitori del Sì hanno riconosciuto le lacune del testo riformatore. Ancora, la questione della riduzione dei costi della politica è irrisoria e marginale, se si valutano i reali risparmi che si otterrebbero. Mera e pericolosa propaganda che coinvolge anche altre questioni: rispetto alla riforma del Senato e al superamento del bicameralismo perfetto, è bene sapere che, contrariamente a quanto si dice, l’approvazione delle leggi non sarà sempre monocamerale. Sono tante infatti le eccezioni inserite nel testo della riforma. Con un elemento negativo ulteriore: il Senato, anziché essere espressione della volontà popolare, rappresenterà quella dei vertici politico-istituzionali delle Regioni. Così il peso della volontà popolare sarà ridotto e indebolito, considerando anche che la riforma triplicherà da 50mila a 150mila le firme necessarie per i disegni di legge di iniziativa popolare.

Non c’è proprio nulla che la convince della riforma, per esempio la riduzione del numero dei parlamentari?
Aldilà di quello che può essere la posizione sul singolo provvedimento del testo riformatore, il problema è l’assenza di una logica di insieme. Sembra piuttosto un testo composto da piccoli interventi spot, slegati l’uno dall’altro e non di certo il prodotto di insieme frutto di un dialogo e confronto costanti sulla materia, espressione quindi di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. Comunque, venendo alla domanda, si continua a parlare di diminuzione dei costi della politica, ma la realtà è un’altra: le spese del Senato saranno ridotte di solo un quinto rispetto alla situazione attuale. Se si fosse voluto davvero affrontare seriamente il problema dei costi, si sarebbero potuti dimezzare i deputati alla Camera o meglio ancora avere il coraggio di eliminare del tutto il Senato.

Nei giorni scorsi è trapelata l’ipotesi di uno spacchettamento del referendum, che ora sembra tramontata. Era una strada percorribile secondo lei?
Se in principio il premier Renzi ha creduto di poter puntare sull’approvazione di un quesito unico, basandosi sulla forza della sua leadesrhip, ad oggi, con l’avanzata di un fronte del No, ha dovuto pensare a come portare a casa un risultato personale non più scontato come in passato. Da qui è nata l’idea di procedere ad uno spacchettamento del testo riformatore, da approvare punto per punto. Si tratta di un tentativo disperato di scongiurare il pericolo di un esito negativo della votazione. Un escamotage che, ancora una volta, dimostra come al Governo non interessi tanto riformare adeguatamente la Carta Costituzionale, quindi dotando il Paese di un equilibrio più funzionale tra governabilità e rappresentanza, o di competenze più chiare tra gli organi costituzionali. L’unico obiettivo di questo stravolgimento del testo costituzionale è portare a casa un risultato politico, sacrificandone in modo un po’ machiavellico i contenuti e la qualità.

La sua è una posizione personale o “schiererà” tutto il Mcl? E in questo secondo caso in che modo? Non crede sia rischioso “politicizzare” il Movimento?
Ovviamente si tratta di una posizione per adesso personale; il Movimento sta decidendo al suo interno le scelte da intraprendere nei confronti di questo tema, che mi permetto di definire “per nulla politico”, in quanto la riforma costituzionale investe tutti, compresi noi corpi intermedi. Quindi pensare di non prendere posizioni su questo dibattito sarebbe ingenuo e soprattutto lo troverei un atto di pura superficialità di fronte all’importanza dell’appuntamento di ottobre, dove si mettono a rischio i valori fondanti della nostra Repubblica.

Si farà promotore di un comitato per il no targato Mcl? In questo caso utilizzerà sedi e personale di Mcl? Oppure aderirà al comitato unitario per il no che vede uniti i partiti del centrodestra
Non è mia intenzione impegnare dal punto di vista organizzativo il movimento.

Come valuta la presa di posizione de La civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti molto vicina a Bergoglio, che invece si è espressa apertamente per il sì
Rispetto tutte le posizioni e le ragioni, del Sì e del No. L’importante è che d’ora in poi si riesca a parlare del referendum costituzionale attraverso un dibattito vero e un confronto serio sui contenuti. I cittadini hanno bisogno di capire e di essere informati. Il dialogo tra le forze politiche in campo, a prescindere dai singoli punti di vista, è la linfa della democrazia, ed è uno strumento necessario per affrontare un tema così complesso e delicato per il Paese come la riforma della Carta costituzionale, sul quale nell’ultimo periodo si sta semplificando eccessivamente, riducendo l’appuntamento con il voto a una prova di consenso sul governo Renzi.