Gli sviluppi della crisi nata dall?11 settembre impongono ai gestori di fondi socialmente responsabili di riconsiderare alcune importanti questioni.
Della coalizione internazionale contro il terrorismo fanno parte anche Paesi noti per violare standard internazionali come la dichiarazione universale dei diritti umani. Qualcuno sostiene che, di fatto, questi Paesi non possono più essere considerati dei nemici. Con un occhio ai rendimenti, altri ritengono perfino che le compagnie che fanno affari con questi Paesi non possono più essere escluse degli investimenti.
All?Ing – Sustainable equities fund continuiamo invece a pensare il contrario.
Altra questione: le armi. La paura suscitata dai raid sull?Afghanistan, ha riaperto la discussione sul valore etico dell?industria della difesa e delle aziende che ne fanno parte. Attualmente, l?Ing esclude compagnie con più del 5% di azioni in armamenti. Tuttavia, stiamo riconsiderando la posizione delle società. Ecco alcuni criteri su cui stiamo riflettendo.
La vendita di armi dovrebbe essere fatta ai soli governi e solo a scopo di difesa. Governi dovrebbero garantire che le armi non vengano cedute. La vendita dovrebbe poi rispettare regolamenti internazionali come il Codice di condotta dell?Ue e in ogni caso dovrebbero essere esclusi Paesi soggetti a sanzioni europee o dell?Onu.
Altro punto fondamentale: un impegno dei Paesi compratori a non usare le armi per violare i diritti umani e le leggi umanitarie internazionali; così come dovrebbe essere salvaguardata la pace, la sicurezza e la stabilità della regione dove il trasferimento di armi avviene. Categoricamente esclusi, poi, mine antiuomo, bombe a grappolo, armamenti nucleari e biologici. Criteri generali, su cui dovremo in ogni caso consultare stakeholder e organizzazioni specializzate sul tema.
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