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Caro Facebook, stringere amicizia con i figli non basta

Facebook ha lanciato ieri un “Portale per i genitori”, in 55 lingue. Per Alberto Pellai «continuiamo a sentir raccontare le meraviglie e le precauzioni da avere sui social da chi quel sistema lo fa. La dimensione proattiva va bene, ma va detto ai genitori anche ciò che è importante che non venga fatto». E lancia una sfida a Zuckerberg: «mettete storie andate male, spiegando dove e come i genitori potevano intervenire»

di Sara De Carli

Il primo dato che balza all’occhio è che per l’Italia non c’è nessun esperto della sicurezza online a cui rivolgersi. Non che non esistano, credo, ma nessuno con cui Mark Zuckerberg abbia stretto un accordo. Facebook ha lanciato ieri un portale per aiutare i genitori a usare correttamente Facebook, disponibile in 55 lingue, italiano incluso: «L'obiettivo è favorire il dialogo tra i genitori e i loro figli per quanto riguarda la sicurezza online», spiega l’azienda. Si chiama “Portale per i genitori” ed è una nuova sezione del Centro per la sicurezza di Facebook, attivo già da un anno, che già aveva una “piattaforma di prevenzione contro il bullismo”, dove invece compaiono collaborazioni con le italiane Telefono Azzurro e Save the Children.

«Dì a tuo figlio che le stesse regole si applicano online e offline», «prova a essere un buon modello di comportamento», «connettiti subito con tuo figlio», stringendo amicizia con loro su Facebook appena aprono un profilo, perché il dialogo diventa più difficile se aspetti: è questo il tenore dei suggerimenti per i genitori. Molto chiara invece la parte relativa allo "strumento" Facebook, con le indicazioni dell’iter da fare ad esempio per segnalare un account che appartiene a qualcuno di età inferiore ai 13 anni, l’età minima per avere un profilo Facebook, l’abc elementare (ma evidentemente mai abbastanza ripetuto) sulle impostazioni della privacy e la sicurezza sui social e una serie di FAQ.

Ma un «parla con i tuoi figli e spiega loro l'importanza della sicurezza nell'uso di Internet» è abbastanza? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Milano, che ha molto lavorato sul tema del sexting e che proprio oggi ha pubblicato una riflessione su Adolescenti e social network, un nuovo modo di relazionarsi.

Facebook ha un nuovo “portale per i genitori”: che le pare?
L’ho guardato, mi è sembrato molto basico. Nel video parlano solo dipendenti di Facebook, è già un limite, è tantissimo tempo che sentiamo raccontare le meraviglie e le precauzioni da avere sui social da chi quel sistema lo fa. La piattaforma non ha una reale indipendenza, sostiene la modalità proattiva di stare con e per i figli, è vero è definito bene il concetto dell’età limite però andrebbero rinforzati alcuni elementi.

Quali?
La dimensione proattiva va bene, ma va detto ai genitori anche ciò che è importante che non venga fatto. Inoltre, forse perché me ne sono occupato molto, trovo molto carente l’aspetto relativo alla sessualità, al sexting, tutto quell’incrocio fra l’online e le sfide evolutive collegate alla sessualità. Di tutto questo non c’è traccia alcuna. Mi sembra un prodotto a costo zero, standard, che dà a Facebook visibilità e gli consente di dire “noi ce ne stiamo occupando”.

Cosa inserirebbe?
Io utilizzerei delle case history, farei vedere percorsi andati male, problematici, indicando bene ai genitori i punti critici, nei quali un genitore presente avrebbe potuto fare la differenza, intervenendo.

Noi abbiamo una legge sul cyberbullismo all’esame del Senato, dopo profondi cambiamenti apportati alla Camera: che ne pensa?
Aver inventato una legge che tratta indifferentemente ragazzi e adulti – sono questi gli aspetti critici – è un autogol. Il concetto di cyberbullismo va tenuto dentro a un reato per adulti mentre per i minori deve restare dentro un’area preventiva, certo con valutazioni specifiche: quando c’è cronicità e reiterazione allora come per il bullismo anche il cyberbullismo può essere un reato minorile, ma vanno fatte valutazioni specifiche. Sui minori pesano varabili legate alle sfide evolutive, per come funziona il loro cervello – le neuroscienze lo dicono – essi fanno in due minuti cose terribili senza pensarci sù, non c’è intenzione strategica. Sono due minuti che non hanno pregresso, due minuti di azioni maldestre, non due minuti dentro un percorso criminale. Per questo hanno bisogno di interventi educativi. È fondamentale contestualizzare le storie, non confondere l’immaturità di un minore che fa cose anche terribili ma in modo non strategico con la consapevolezza strategica di un adulto.

Foto Unsplash/Anna Demianenko


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