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Caro Stato, come spendere le mie tasse decido io: il “voto fiscale” delle Acli

Il presidente Roberto Rossini lancia una proposta: permettere ai contribuenti di destinare una parte delle imposte a obiettivi specifici di carattere sociale, come lotta alla povertà, educazione, sanità o ambiente. Un "voto col 730" che sarebbe praticabile e migliorerebbe trasparenza e credibilità della politica. Ecco di cosa si tratta

di Gabriella Meroni

Da tempo in Italia si parla di aumentare la quota di democrazia diretta: il M5S ne fa una bandiera (pur con risultati altalenanti), ma è indubbio che in una fase di crisi dei partiti, delle élite e dei corpi intermedi, non sia un'idea sbagliata da mettere sul tappeto. Ne è convinto il presidente delle Acli, il sociologo Roberto Rossini (a destra nella foto), che sul tema invita a «capire come», ma anche a «immaginare che la politica, vista dalla parte del suo lato più elettorale, non sia l'unico spazio possibile».

Presidente Rossini, è chiaro che lei sta pensando ad altri strumenti per rappresentare gli interessi dei cittadini. Ha in mente qualcosa di preciso?

Non nego che un'idea ci potrebbe anche stare. La nostra è questa: lo Stato potrebbe concedere ai cittadini l'opportunità di scegliere come spendere i soldi dello Stato, ovvero dove destinare il prelievo fiscale. Basterebbe che nel modello 730 ci fosse – tra i tanti riquadri – uno dove poter scegliere tra una serie di macro-categorie.

Per esempio?

Me ne vengono in mente alcune: contrasto alla povertà, istruzione, sanità, difesa dell'ambiente, difesa militare, pari opportunità, miglioramento anti-sismico, infrastrutture, ricerca scientifica e quant'altro. Già il modello 730 prevede forme simili, perché di fatto il 5 per mille destinato al terzo settore o il 2 per mille per le associazioni culturali, o ancora l’8 per mille alle chiese sono forme di destinazione specifica del prelievo fiscale: ma sono forme destinate esplicitamente a soggetti.

In questa proposta invece, il soggetto unico sarebbe comunque lo Stato?

Esatto, che però sarebbe vincolato a scegliere alcuni capitoli di spesa invece di altri, anche tenendo conto della flessibilità che la cronaca ci obbliga ad avere; di ciò che sta accadendo, dei fatti che si manifestano. Certo, non possiamo pretendere che tutto il prelievo possa essere gestito così, però basterebbe un segnale, un percentuale: il 5 per cento? Il 10? Una quota, insomma.

Quali sarebbero i vantaggi derivanti da una misura di questo tipo?

Se fosse introdotta, a mio parere porterebbe almeno due vantaggi politici. Il primo sarebbe dare effettiva rappresentanza ai cittadini, con una scelta diretta, con un coinvolgimento partecipativo non banale, fondato sulla tutela di interessi comuni e non particolari, mentre a volte le campagne del 5 per mille ricordano un po' troppo quelle politiche, come una lotta interna tra organizzazioni del bene. Il secondo vantaggio sarebbe testare ogni anno le priorità avvertite, facilitando il raccordo tra la politica e la base dei cittadini: si dice sempre che la distanza è eccessiva, e qui ci sarebbe lo spazio per ridurla.

Sarebbe anche una questione di maggiore credibilità…

La politica ha estremo bisogno di riacquistare credibilità. Una maggiore trasparenza genera credibilità. La trasparenza dei conti, delle spese comuni, è anche un diritto sacrosanto. L'amico Leonardo Becchetti, economista di chiara fama e di creatività sociale, invita sempre a votare con il portafoglio, scegliendo i prodotti etici e boicottando quelli che fanno male al bene comune. Noi invitiamo a votare col 730.


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