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Africa Analytica: il Continente è il nuovo laboratorio della manipolazione digitale

Una società tunisina è sotto accusa: avrebbe veicolato disinformazione e fake news attraverso i social network allo scopo di orientare le elezioni in molti Paesi africani. È solo l'ultimo episodio che, come dimostra il caso di Cambridge Analitica, trova nell'Africa un laboratorio globale di manipolazione

di Marco Dotti

L'hanno chiamata Operazione Cartagine. Un team di giornalisti investigativi guidati da Andy Carvin (potete scaricare il report completo in pdf in calce al nostro articolo) ha sollevato il coperchio di una pentola che ribolliva da tanto, troppo tempo.

Africa: democrazie a rischio "sentiment"

Una società tunisina di digital intelligence, UReputation, avrebbe veicolato disinformazione e fake news attraverso i social network e una serie di blog fantasma, allo scopo di orientare le elezioni in molti Paesi africani.

È solo l'ultimo episodio che, come dimostra il caso di Cambridge Analitica che testò a Trinidad Tobago e nel Continente le proprie pratiche di micromarketing invasivo, trova nell'Africa un laboratorio globale di manipolazione.

Tra le campagne sulle quali la società tunisina ha cercato di orientare sentiment e consenso, si segnalano quelle presidenziali di Nabil Karoui del 2019 in Tunisia, Faure Gnassingbe per il 2020 in Togo e quella, tutt'ora in corsa, dell'ex presidente Henri Konan Bedie in Costa d'Avorio.

La società al centro dell'inchiesta avrebbe usato su Facebook tecniche di coordinated inauthentic behaviour (CIB), ovvero un uso fuorviante ingegnerizzato della rete, condotto attraverso falsi profilo o informazioni fuorvianti.

Ingegnerizzare la disinformazione

Il 5 giugno scorso, allertati dalle prime segnalazioni, Facebook ha annunciato di aver rilevato oltre 900 asset affiliati all'Operazione Cartagine in capo alla società tunisina, tra cui 446 pagine, 182 account utente, 96 gruppi e 209 account Instagram.

Facebook ha inoltre dichiarato che la rete dietro queste pagine e questi profili «utilizzava account falsi per mascherarsi da persone del posto in Paesi presi di mira» indirizzando poi gli utenti reali caduti nella trappola verso siti e blog esterni che contenevano notizie "verosibili" fuorvianti su politica, relazioni internazionali e, immancabile, l'epidemia di coronavirus in corso.

«Anche se le persone dietro questa attività hanno cercato di nascondere la loro identità e il loro coordinamento, la nostra indagine ha trovato collegamenti con una società di PR con sede in Tunisia, UReputation», ha concluso Facebook, che ha dichiarato anche la somma spesa in pubblicità da UReputaion: 330mila dollari.

Il Cavallo di Troia del fact-checking

Particolare non irrilevante: ad attrarre l'attenzione e innescare l'indagine è stata una pagina tunisina di fact-checking su Facebook chiamata "Fake News Checking".

Lanciata nell'agosto del 2019, la pagina siu proponeva come servizio libero, aperto e democratico di monitoraggio della disinformazione sulle elezioni presidenziali in Tunisia. Un Cavallo di Troia dietro cui si nascondeva la rete dell'Operazione Cartagine, che puntava a orientare i giudizi favorevoli degli elettori verso il tycoon dei media Nabil Karoui.

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