Famiglia

Il primo smartphone? C’è un’età giusta?

All’incontro organizzato dal Centro Psico Pedagogico Bracco per genitori e insegnanti, lo psicoterapeuta Alberto Pellai ha offerto alcuni suggerimenti su come gestire la richiesta di un cellulare da parte dei figli preadolescenti. «Fino a dieci anni fa era il regalo dell’ingresso alle superiori, oggi moltissimi undicenni sono connessi, avanti di questo passo sarà il regalo di battesimo?»

di Antonietta Nembri

Opportunità o rischio? È questo il dilemma che assale i genitori dei preadolescenti alle prese con la decisione di quando regalare il primo smartphone. E proprio questo dubbio è stato al centro di due degli incontri promossi dal Centro Psico Pedagogico di Bracco per gli insegnanti e i genitori delle scuole convenzionate con il centro, aperto lo scorso anno nel quartiere di Lambrate a Milano (vedi news). A offrire spunti di riflessione e per così dire svelare il rischio del “tutto troppo presto” per preadolescenti e adolescenti Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva.

Di fronte alla decisione di quando i figli possono avere il loro primo smartphone i genitori «sono spiazzati o disarmati», soprattutto dal fatto che – ha rivelato Pellai davanti a una sala strapiena – «il tutto si è precocizzato». La richiesta di uno smartphone da parte dei pargoli, infatti, arriva sempre più presto. Se fino a una decina di anni fa il primo telefonino era nelle mani dei ragazzi a 14 anni, con il passaggio alle scuole superiori, «cinque anni fa si è registrato il primo salto all’indietro: oggi moltissimi hanno uno smartphone a 11 anni», ha osservato Pellai che ha aggiunto: «in questi ultimi due, tre anni ormai un bambino maneggia uno smartphone tra la IV e la V elementare, cioè tra i 9 e i 10 anni… avanti di questo passo, invece di essere il regalo di cresima o di prima comunione, regaleremo uno smartphone per il battesimo?».

Una provocazione quella di Pellai? Non proprio anche perché a suffragare le sue affermazioni non ci sono solo i dati, ma anche alcune considerazioni su come i genitori vivano la concessione dello smartphone: «i nostri figli sono più competenti tecnicamente a gestire questo strumento, ma noi genitori non ci rendiamo conto che spesso lo usiamo come un guinzaglio elettronico, lo utilizziamo per monitorarli ma in realtà quello che fanno i ragazzi con il telefonino è a una distanza siderale da quello che i genitori pensano che facciano».

Ed è questo uno dei problemi. Perché i rischi in rete sono moltissimi: dal cyberbullismo al sexting mentre i preadolescenti non hanno gli strumenti e la consapevolezza per affrontare tutto questo. «La capacità di agire facendosi guidare non solo dal cervello emotivo, ma anche da quello cognitivo, che porta con sé la capacità di prevedere i rischi, come spiegano bene le neuroscienze, non appartiene all’adolescenza. Per cui, all’età in cui oggi diamo in mano lo smartphone ai nostri figli non è ancora sviluppata», ha spiegato Pellai con l’ausilio di un serie di diapositive in cui erano illustrate le diverse tappe di maturazione dei lobi frontali «che maturano a 20 anni, quindi prima di quell’età non stupiamoci se una delle risposte tipiche dei nostri figli è “non ci avevo pensato” di fronte alle conseguenze a volte disastrose del loro agire, quella della pre-adolescenza è l’età della maggiore vulnerabilità».

Un genitore, quindi si dovrebbe non solo interrogare se il figlio ha le competenze tecniche per usare uno smartphone, ma anche porsi seriamente la domanda: essere molto smart basta a gestire una vita online? Perché il problema giunti alle soglie dell’adolescenza dei figli è trasformarsi in genitori allenatori, fare con loro un patto di corresponsabilità e imparare a gestire un contratto educativo «quindi il genitore deve avere la supervisione» e a una madre che chiedeva se aveva fatto bene a imporre al figlio di conoscere la password dei social ha risposto «non c’è una risposta giusta, ma il tenerla segreta o meno non è qualcosa che possono decidere i nostri figli. Ricordiamoci sempre che non “funzionano” come un adulto. Oggi moltissimi ragazzi di 14 anni sono alti 1 metro e 70 e tecnicamente potrebbero guidare una macchina, arrivano ai pedali: ma daremmo in mano un’auto a una quattordicenne?».

I figli oggi impongono l’età in cui avere il primo smartphone, con il ricatto: “tutti i miei amici ce l’hanno” e i genitori temendo l’esclusione sociale dei propri rampolli esaudiscono il desiderio. «Attenti però i veri Hikikomori (giovani o adulti che si ritirano dalla vita sociale e vivono nella propria stanza – ndr.) si trovano molto più tra chi ha avuto tutti gli strumenti tecnologici, non tra chi ha ricevuto dei no».

L’importante è non bloccare il bisogno di esplorare che tra gli 11 e i 14 anni è una necessità fisiologica. Ed è qui che entra in gioco il genitore/allenatore che aiuta il figlio nel difficile compito di allenare il proprio cervello «Chiediamoci: che genere di allenatore sono io per la vita online di mio figlio?» ha detto infine Pellai suggerendo di insegnare ai figli a utilizzare la rete avendo dei progetti, aiutandoli a non vivere connessioni immersive «che sono quelle che danno dipendenza» e un ultimo suggerimento: un contratto educativo tra genitori e figli sull’uso del cellulare.

Ma allora? Quale è l’età giusta perché non sia “tutto troppo presto” come suggeriva il titolo dell’incontro? «Per me sono i 14 anni», ha risposto sicuro lo psicoterapeuta. «Ed è la regola che ho adottato con i miei figli».

In apertura photo by Luke Porter on Unsplash

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