Mondo

Serve un nemico? O qualità della democrazia?

di Marco De Ponte

Quanta speranza nelle risposte degli studenti – rimbalzate sulle pagine di Repubblica – alle domande del Salone del Libro di Torino! Si chiedeva: oggi serve un nemico? Domanda interessante che mi pare utile porre anche a chi sta definendo in queste ore il profilo del nuovo Governo.

Molti ragazzi hanno sollevato il sospetto che il “nemico” sia una figura strumentale e niente affatto positiva, spesso solo un “capro espiatorio”.

In effetti indicare un nemico da dare in pasto alle fiere mette al riparo chi lo fa, quando una chiara visione per il futuro di un Paese e del suo ruolo nel mondo è incerta. Si fa spesso – a volte nella storia si sono usate le armi – ma molto spesso bastano le parole, la narrativa, per far la differenza.

La natura politica del governo che nasce è chiara, ma non è ancora chiara la strada che intenderà percorrere: occorrerà attendere il “contratto” e la nomina del Presidente e dei ministri. Tuttavia la campagna elettorale e le dichiarazioni anche di ieri indicano che l’orizzonte a cui guardano le forze politiche interessate sia affollato di “nemici”. I migranti da fermare, l’Unione Europea da mettere “al suo posto” e poi… anche la società civile organizzata, da regolare con sospetto, immaginando interessi particolari, malversazioni e spesso dipinta come se fosse una lobby oscura, invece che il tramite sempre presente della partecipazione attiva dei cittadini.

Anche se frutto di un equilibrio delicato, l’analisi del “contratto” che precederà la formazione del governo offrirà un momento propizio per riflettere sulle priorità che si vorrebbero perseguire. Per ActionAid la riflessione risulterà ancora più opportuna, perché il corso del nuovo Esecutivo ha inizio proprio nell’anno in cui anche noi, i nostri soci, abbiamo deciso di rinnovare l’impegno futuro delineando una strategia decennale.

Credo che abbiamo fatto bene a partire dai valori, perché stilare un piano delle azioni senza condividere valori e la visione, finisce di solito con lo schiacciare i protagonisti sull’esecuzione senza attrezzarli per affrontare le sfide nuove e quelle impreviste. Ai soci ed a chi collabora in ogni modo con ActionAid è chiaro come non basti stilare la lista delle attività da svolgere, ma serva piuttosto mettere a fuoco il tipo di cambiamenti da perseguire. Ho la sensazione che ci divida da questo momento non solo il metodo, ma anche il desiderio (o la mancanza dello stesso) di identificare nemici.

Troviamo per esempio molto utile (e magari ci si potrà lavorare) l’attenzione dichiarata agli esclusi ed al metodo partecipativo. Se ben incanalata questa attenzione può essere un contributo alla visione della società e del Paese. Includere nelle decisioni e nei processi di generazione di ricchezza permette secondo ActionAid, di provare a definire soluzioni nell’interesse della comunità. Però non c’è bisogno di nemici, anzi serve spogliarsi della cultura del sospetto verso i propri interlocutori perché la democrazia di qualità è faticosa, tende a far davvero contare, non solo a contare i cittadini per schierarli.

La società civile organizzata non può essere un nemico di nessuno. Anzi l’ascolto e il dialogo tra i cittadini deve costituire un vero e proprio modus operandi di chi ha assunto la responsabilità della rappresentanza. È indispensabile che il governo di un Paese genuinamente democratico sappia valorizzare gli spazi di critica ed impegno che le organizzazioni civiche offrono al “popolo”; è indispensabile che si eviti di criminalizzare l’aiuto umanitario e la solidarietà a chiunque sia indirizzato. La lunghissima campagna elettorale è stata spesso accompagnata da una narrazione sbilanciata dei fenomeni globali, che adottando punti di vista parziali hanno generato percezioni da parte dell’opinione pubblica non aderenti alla realtà, minando la fiducia costruita da organizzazioni come la nostra nel corso di anni di lavoro, ma soprattutto minando la fiducia nella possibilità di partecipare davvero della costruzione della società di cui essere orgogliosi. Senza una solida base di fiducia la partecipazione diventa impossibile, la solidarietà diventa un lusso, la cittadinanza diventa una chimera e si finisce solo per assecondare l’avvicendamento di diverse élites.

L’Europa, i migranti, le organizzazioni civiche fatte di milioni di persone non possono essere nemici. L’Europa che vogliamo è un insieme di stati capaci di mostrarsi differenti e più “grandi” con il dialogo, non con la chiusura. Più grande per via della qualità e non solo dell’enunciazione del proprio processo democratico. Il paradigma dei diritti umani non si può usare selettivamente perché #siamotuttiumani. Come ha ricordato il Capo dello Stato Mattarella nei giorni scorsi, pensare di farcela da soli sarebbe uno straccio di illusione gettato in faccia a chi rischia di perdersi: nessuna delle sfide alle quali il nostro oggi ci costringe a pensare, può trovare soluzione “in solitaria”. Nemmeno la sfida della convivenza civile in un paesino di montagna si vince alzando muri, semmai lo si fa accogliendo chi ha la pazienza di salirci.

E certamente “noi” siamo uomini e donne! Assieme. Solo una piena ed effettiva uguaglianza tra uomo e donna, a partire dai ruoli di rappresentanza politica, può permettere all’Italia di diventare una democrazia compiuta, incarnando appieno le istanze di tutta la società. La XVIII legislatura è quella con la percentuale di deputate più alta della nostra storia, il 34,62 per cento; una quota doppia rispetto a 10 anni fa, ma comunque ancora troppa bassa. Essere donna in Italia significa ancora oggi essere a rischio di subire violenze e la certezza di ricevere retribuzioni più basse. Vediamo domani – per capire la direzione di marcia – se ci sarà il Ministro per le Pari Opportunità. Pari opportunità per tutte, per chi oggi è escluso, per chi arriva, per chi ha meno e deve essere aiutato. #qualitàdemocrazia

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