“Spendiamo quanto una metropoli in assistenza domiciliare, poi un bel giorno ci guardiamo alle spalle e contiamo qualche migliaio di badanti. Ohibò come mai? Chiediamo lumi alle cooperative che gestiscono i servizi, ma quando si avvicina la scadenza dei contratti, in gioco c’è soprattutto la salvaguardia dei livelli occupazionali”. Frase messa lì a fine riunione, ma che ha il potere di farti risedere. Soprattutto se proferita da un dirigente pubblico competente, sia per attribuzione di potere che per possesso di conoscenze. Va in onda il welfare senza veli, sclerotizzato anche in quelle unità d’offerta che invece dovrebbero garantire flessibilità in termini di contenuto del servizio e di organizzazione gestionale. Invece sono ormai ammesse solo minime variazioni, agendo in particolare sulle variabili di tempo e di prezzo della prestazione. Per uscire da questa spirale serve un ciclo produttivo basato su nuovi presupposti. Non solo per una questione di sostenibilità economica “perché ormai su certi servizi costiamo quasi come l’ente pubblico” (altra frase che ti fa riaccomodare sulla sedia se a riferirla è un cooperatore sociale competente tanto quanto il dirigente pubblico di cui sopra). Ma anche, per una banalissima questione di efficacia rispetto al bisogno.
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