Mondo
Tra quei bambini che hanno perso le parole e le lacrime
La testimonianza di un esperto psicologo in missione in un istituto dellEst
di Redazione
Ero entrato con una certa apprensione nell?istituto che tanto avevo atteso di vedere. Già all?ingresso c?era un?atmosfera particolare e si era insinuata una sensazione persecutoria e di proibito, ricordando le raccomandazioni di discrezione e prudenza ricevute. Si tratta di bambini ?gravi?; questo non significa nulla di particolare, ma è una buona fotografia della loro condizione attuale. Mi trovo in una grande stanza spoglia, una moquette indefinibile fa da pavimento. Lungo due pareti sono allineati una ventina di lettini, quasi tutti vuoti; solo in tre di essi sono distesi dei bambini, mentre altri sei o sette, più grandini, sono sul pavimento; non c?è nessun adulto.
L?età dei bambini rappresenta uno dei problemi razionali da affrontare. L?intuito mi dice che sono più grandi di quanto sembra; lo uso per attribuire un?età, per non cadere in errore. Ma l?errore forse è proprio quello di voler attribuire un?età secondo i nostri canoni, valutata in tempo trascorso, mentre il loro tempo sembra muoversi a un altro ritmo, forse scandito dall?ingresso periodico della sorvegliante, o dal cibo, o dall?essere cambiati, puliti due volte al giorno. Se li immagino con un?età cronologica legata alla loro data di nascita, diventano incomprensibili, anormali. Li sento più raggiungibili se posso pensarli senza tempo cercando di osservarli come sono.
Entrando ci hanno fatto togliere le scarpe per motivi igienici. Sembra assurdo e mi fa venire in mente la sterilizzazione affettiva che si vive qui dentro: è dominante l?aspetto del funzionamento, mentre l?affettività deve essere stata chiusa altrove per paura che si creasse un pericoloso contagio: ?sentire? i bisogni dei bambini. Un lusso che non ci si può concedere.
Mi colpiscono i loro sguardi. Sembrano non avere più occhi che per le cose minute, sul pavimento. Non ci vedono anche quando ci guardano; la luce che in genere illumina il viso dei bambini è scomparsa dai loro: sono spenti, poca curiosità, facile rinuncia a ogni esplorazione, rapidi ritiri in se stessi o chissà dove. Si potrebbe credere che non aspettino più niente, ma non è ancora vero e se si accettano i loro giochi e le loro forme di comunicazione, piccoli palpiti testimoniano una vitalità appena percettibile, ma ancora esistente.
Maria.
Sono seduto a terra, Maria sta esplorando la mia barba, forse non ne ha mai vista una prima, ho idea che non entrino molti uomini qui; la morde mentre mi si appoggia addosso. è bagnata dalle ginocchia a metà della schiena, ma dovrà aspettare l?ora del cambio, qui non possono cambiarla ogni volta che si bagna. Avrà, credo, 5 anni ma gliene si darebbero 2 o poco più. Non parla, ma a volte intona una cantilena.
Ha problemi a mantenere la posizione eretta e a camminare spedita. La costringo a muovere dei passi per la stanza tenendola per mano; si stanca subito e si accascia a terra, allora le lascio la mano. Dopo un poco lei si rialza per riprenderla, sento che tiene a quel contatto. Penso che io per lei sono la mia mano oppure la mia barba, o le mie gambe, le ginocchia, sulle quali cerca sempre di rovesciarsi a pancia in sotto con una flaccidità muscolare che denuncia i suoi problemi. Ha molti tratti dell?autismo, ma ci siamo appena incontrati e io stesso non mi fiderei a dare confidenza a un estraneo.
Stephan.
Avrà forse 3 anni ed è l?unico ad avere uno sguardo un po? più vivo degli altri, una curiosità, la percezione di noi altri come persone. Mi spiegano che ogni tre mesi una volontaria viene per un mese ogni giorno e si dedica esclusivamente a lui. Questa deve essere la differenza! Ma subito penso: se si attacca a una persona, cosa gli accade a ogni partenza, come attende ogni ritorno? Inizio a tirare il calzino che Stephan si sta togliendo. Lui tira dall?altro lato. Iniziamo un tiro alla fune che lo diverte: ride, agita l?altra mano, è eccitato. Andiamo avanti in questo modo per qualche minuto, poi si stufa, abbandona il calzino e me e si dedica a un?automobile di ferro che è lì vicino, sul pavimento.
Mi allontano pochi passi, mi giro e assisto a questa scena: Stephan ha sbattuto con forza la macchinetta sulla testa di un altro bambino lì vicino, tutti sentiamo chiaramente il rumore del colpo; deve avergli provocato un dolore molto forte, ma il bambino non pronuncia neppure un lamento, è come indifferente, come se fosse accaduto a un altro. Fosse successo a un bambino dei nostri, magari a scuola, le urla si sarebbero sentite dappertutto. Qui niente.
Non è muto, solo quello che accade non ha senso per lui e non ha senso gridare, probabilmente non accadrebbe nulla, nessun adulto verrebbe a consolarlo. Il dolore sembra essere del resto dovunque, bisogna imparare a conviverci, a non sentirlo più, quello del colpo evidentemente non è peggio del solito. I bambini sono senza parole perché la lingua è materna e per loro non c?è nessuno che occupi il posto della madre, solo una sorvegliante che entra ogni tanto. La disperazione di un amore non corrisposto, quello del bambino per una madre che non c?è, ha come esito non la delusione dell?indifferenza, ma la tragedia della morte, al cui pericolo il neonato abbandonato è esposto. Se sopravvive fisicamente, può essere la sua parte psichica a soccombere.
La sorvegliante.
Incontrandola nel corridoio, avevamo chiesto alla sorvegliante se il suo lavoro le piacesse, ottenendo per tre volte di seguito la stessa risposta: «Prima lavoravo fuori città, in una fabbrica; questo lavoro è migliore, è più sicuro, guadagno di più, è meno faticoso?». Capisco che non può rispondere alla domanda; se lo facesse penserebbe a quello che vede, che incontra, che sente quotidianamente e che invece deve eliminare per sopravvivere lei stessa. Non si può incolparla di disumanità. L?umanità è un lusso non consentito in certe condizioni.
Credo che questo esempio possa far capire più concretamente perché dei genitori sono necessari per l?evoluzione psichica dei bambini. La sensazione di ?essere riconosciuti?, la cui alternativa è l?essere inesistenti, poggia all?inizio sulla capacità degli adulti che si prendono cura del bambino di identificarsi con lui.
di Leonardo Luzzato
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