Cultura

Le bambine risorte in casa di Lazzaro

Betania. Una visita all’orfanotrofio di Samar. Di Marco Berchi

di Redazione

Senti l?asfalto improvvisamente rugoso grattare le ruote e, prima ancora che il bus svolti in una stradina a picco su un calanco, sai di essere arrivato. Benvenuti alla Betania del Vangelo, il villaggio «a 15 stadi da Gerusalemme» sulla strada che scende a Gerico attraversando il deserto della Giudea.
Betania è in Cisgiordania, nei territori occupati da Israele e in seguito restituiti all?Autorità nazionale palestinese. Betania non si chiama più Betania ma el-Azariya, che vuol dire «il paese di Lazzaro». In una terra in cui nulla è e può essere normale, a Betania è capitato il destino forse più definitivo di tutti: le è rimasto addosso il nome di un uomo a cui è capitato di essere rimesso in piedi, vivo, fuori dalla sua tomba. Gesù ha visto e amato tanti, tutti. Ma da quel che si intuisce dal Vangelo aveva degli ?amici più amici?, quelli da cui si va per star bene e basta, che conoscono i tuoi gusti e le tue preferenze, quelli che «è troppo che non ci vediamo, facciamo cena insieme». Lazzaro, Marta e Maria erano per Gesù degli amici così. E stavano qui, a Betania.

Le case basse e acciaccate corrono sui crinali delle colline nella luce di un tramonto invernale. Il buio già cova in fondo ai calanchi e sembra volerle tirar giù, nella tomba. Affacciata, quasi pencolante su una di queste vallette aride e tristi c?è la ?casa di Lazzaro?. «No, non ?quella?», ride Samar con un sorriso che letteralmente sbaraglia il buio del fondovalle «questa l?abbiamo chiamata ?Casa di Lazzaro? perché vorremmo che chi ci abita tornasse in vita come è successo a quell?amico di Gesù».

Chi abita oggi nella casa di Lazzaro? Nel giardinetto a terrazze sassose un gruppetto di volontari americani grattano con le vanghe le aiuole mentre i giornalisti italiani non fanno in tempo a rendersene conto che già si trovano seduti sulle sedie bianche che corrono lungo il porticato in cemento. Accoccolati su un tappeto da Aladino, una sessantina di occhi scuri ci guardano e pregustano la festa.

Samar ha iniziato un?esperienza di verginità cristiana 35 anni fa quando ha affittato con i genitori, lei che veniva da Gerusalemme, una camera a Betania per aiutare dieci bambini orfani. Quella camera con il suo contenuto fu battezzata ?Generazione della speranza? e il nome non poteva, da queste parti, che essere profetico. Ne è nata un?opera che si scrolla di dosso gli aggettivi, con un panificio in cui fanno il pane palestinesi e israeliani, con questa casa di accoglienza dedicata alle bambine che la cultura islamica considera meno di niente, con l?incontro con il movimento di don Giussani che, dice Samar, «mi ha fatto capire il senso profondo di ciò che facevo: la maternità consiste nel generare al significato della vita».

Samar parla e racconta, fa capire che la parola ?orfanotrofio? va definitivamente buttata, con tutte le sue ?f? tristi e ricurve, nella valle qui sotto, e vi provvedono i canti e soprattutto i balli che le figlie di Samar intonano in men che non si dica, mescolando note arabe a quelle italiane. Ballando e cantando, capisci cosa volesse dire Gesù quando avvisò che chi lo avesse seguito avrebbe fatto miracoli ancora più grandi dei suoi. Chi sarà tra queste bimbe quella trovata incatenata e bruciata in una grotta? E chi sarà la sorellina, anche lei bruciata dalla madre? Samar ha raccontato che, sanate e guarite fuori e dentro, le ha portate a Betlemme. «Vai da Gesù e chiedigli una cosa», ha detto alla più grande. E lei, di ritorno, dice a Samar di aver chiesto a Gesù «di perdonare la mamma». «Era stata bastonata sulla testa. Che una bimba possa chiedere il perdono per tutto questo a Gesù, per la sua mamma, è un miracolo», sorride Samar.

Andar via si deve e non si vorrebbe. Salendo sul bus si fiancheggia, a pochi metri dalla ?Casa di Lazzaro?, l?orfanotrofio pubblico palestinese. Dietro a una rete di filo spinato quattro altalene tristi e cigolanti e un bimbo con la testa tra le mani. Che differenza dalle figlie di Samar! Se n?è accorto anche un funzionario palestinese in ispezione: «Donna», ha detto a Samar, «queste bambine non sono più orfane!».

Gerusalemme è un baluginare lontano, anche Lazzaro l?avrà vista così. Lazzaro, che dopo quel giorno fissato dal Vangelo avrà ancora vissuto, amato, sbagliato. Che sarà invecchiato, si sarà ammalato, avrà visto quest?ombra buia che sale dal basso, sarà, infine, morto. Ma tutto con la coscienza che il suo amico Gesù aveva il potere di dare la vita anche oltre la morte e che, quindi, è la casa con gli amici e non la tomba la residenza che ti avrà per sempre.

Le figlie di Samar hanno fatto e fanno la stessa, identica esperienza di Lazzaro. E quando Gesù ripasserà di qui ritroverà amici, cena e casa ancora più belli di quella penultima volta di duemila anni fa.

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