Cultura
L’africa è ricca…di chiese
Sono fenomeni legati a personaggi carismatici locali. Con connotati anche anticoloniali. È un fenomeno che impressionò Giovanni Paolo II. Che però si rivelò comprensivo.
di Redazione
È domenica. Nairobi si sveglia sotto una pioggia battente. Eppure, nonostante il tempo, la gente va a pregare lo stesso, schivando immense pozzanghere d?acqua e fango. Intanto bongi e kayamba scandiscono il tempo nelle innumerevoli baraccopoli che costellano la capitale kenyana. I primi sono i classici tamburi africani di varie dimensioni, mentre i secondi appartengono alla classe degli idiofoni e producono un piacevole suono col ritmico battimento di piccoli fagioli, semi e sassolini contenuti all?interno dello strumento fatto di legno. Alphonse, un simpatico ragazzotto sulla ventina, dirige un coro all?aperto, quasi improvvisato, nella valle di Mattare, una delle zone più malavitose della città. Un tempo faceva il ?makausi? (il ladro), fumando da mattina a sera il ?bangi? (la marijuana locale) accompagnato dal ?pombe? (un superalcolico distillato con mezzi rudimentali). Dice sorridendo
di aver cambiato vita, aiutando i poveri e cantando lodi a Dio, da quando i suoi genitori decisero di affidarlo sei anni fa alla Legio Mariae, conosciuta anche come Maria Legio Church, una delle innumerevoli ?independent church? presenti in Kenya e che contano un crescente numero di fedeli.
Senza precedenti
Fondata da Gaudencia Aoko, meglio conosciuta come Mama Mtakatifu (?Mamma Santa?), la Legio Mariae, sviluppatasi fortemente negli anni 70, nacque in seguito ad uno scisma dall?omonimo movimento cattolico introdotto negli anni 30 dai missionari nella provincia kenyana di Nyanza. Secondo i dati forniti dal Database of African Independent Churches and Leaders, sono circa 10mila le Chiese indipendenti presenti attualmente nel continente africano (altre fonti cattoliche e protestanti parlano addirittura di 16mila), sebbene risulti assai arduo monitorare questo fenomeno senza precedenti nella storia del Cristianesimo africano.
Sorte a partire dalla seconda metà del 1800, queste Chiese hanno da sempre espresso la necessità degli aderenti di rispondere a istanze di autonomia culturale e spirituale rispetto a quelle europee, se non addirittura di liberazione rispetto alla dominazione coloniale. La costituzione di queste Chiese è, in ogni caso, un fenomeno in continua evoluzione. Ritenute una volta sette scismatiche, vengono oggi ascoltate nell?ambito ecumenico come movimenti di rinnovamento. Il loro modo originale di vivere la fede cristiana ha fatto sì che fossero denominate in tempi recenti come African Instituted Churches (Aic – Chiese africane istituite), a significare il fatto che la loro esistenza è legata all?iniziativa di fondatori o fondatrici africani.
Non pochi teologi, come il tanzaniano Laurenti Magesa (autore tra l?altro di African Religion. The Moral Traditions of Abundant Life, che presenta e approfondisce la spiritualità africana), hanno stigmatizzato che gli stessi missionari, i quali per lungo tempo non hanno approvato la religiosità degli africani, sono stati costretti ad ammettere che è solo a partire da questa base che possono inculturare pienamente il messaggio evangelico.
Secondo il sociologo Daniele Mezzana, in un interessante articolo sull?e-magazine African Societies, occorre sconfiggere definitivamente la tesi della presunta inferiorità spirituale dei popoli africani attraverso la rivalutazione di una tradizione viva e dinamica.
D?altronde, come rileva lo stesso Magesa, se si osservano attentamente le Chiese indipendenti, si può notare che per esse proprio la rivelazione è un evento continuo e ricorrente, che si manifesta, oltre che attraverso le Scritture, tramite il sogno, la possessione, l?estasi, la trance, la reincarnazione o specifici eventi quali, ad esempio, le calamità.
Le Chiese indipendenti africane nate dal distacco dalla Chiesa cattolica sono comunque una piccola percentuale rispetto alla maggioranza che proviene da esperienze di rottura con le altre confessioni cristiane di matrice occidentale. Occorre però anche precisare che non sempre le Chiese indipendenti possono essere considerate come il risultato finale di processi scismatici dalle grandi tradizioni cristiane come l?Anglicanesimo o il Protestantesimo più in generale.
Il caso Nigeria
La Nigeria, ad esempio, che già nel 1970 contava oltre 700 Chiese indipendenti, ha dato vita tra gli altri a un gruppo di Chiese denominate Aladura (?degli Oranti?). Si tratta di comunità sorte spontaneamente, sotto la guida di leader locali, e non in seguito a veri e propri scismi dalle Chiese madri occidentali. Questo movimento religioso trae origine dal clima che venne a determinarsi nel paese africano in seguito a una tremenda epidemia che devastò l?Africa occidentale nel 1818. Ritenendo le Chiese europee incapaci di far fronte all?emergenza sanitaria, molti cristiani appartenenti all?etnia yoruba incominciarono a formare gruppi spontanei di preghiera che riunivano insieme fedeli per imporre le mani sui malati.
Da questo trend religioso scaturirono,ad esempio, la Chiesa dei Cherubini e dei Serafini (presente attualmente anche in Italia con una comunità di immigrati nigeriani nelle Marche), la Chiesa del Signore e la Chiesa apostolica di Cristo. Sebbene in epoca coloniale gli adepti delle Chiese di Aladura provenissero dai ceti meno abbienti (diseredati, malati e comunque gente senza istruzione) essendo l?indipendentismo cristiano visto con diffidenza dalle autorità coloniali, successivamente registrò una graduale inversione di tendenza.
Quelle parole in Malawi
Infatti, dagli anni 60 in poi furono numerosi i membri delle élite politicoeconomiche che aderirono a queste nuove comunità autoctone. Non c?è dubbio pertanto che la sporulazione di Chiese indipendenti in Africa rappresenti da una parte un problema, trattandosi di innumerevoli realtà a se stanti con cui è difficile dialogare simultaneamente, ma anche una sfida per il nostro cattolicesimo. Visitando il Malawi, lo stesso Giovanni Paolo II ebbe modo di dire: «Io vi lancio una sfida oggi, una sfida che consiste nel rigettare un modo di vivere che non corrisponde al meglio delle vostre tradizioni locali e della fede cristiana. (?). Guardate alle ricchezze delle vostre tradizioni, guardate alla fede che abbiamo celebrato in questa assemblea. Là voi troverete la vera libertà, là troverete il Cristo che vi condurrà alla verità».
Dunque, soprattutto in chiave ecumenica, l?istruzione catechetica e più in generale la formazione delle comunità cristiane esige un rinnovato impegno nella conoscenza delle culture locali, ahimè troppo spesso sottovalutate da vere e proprie ?gabbie interpretative.? Ecco perché sarebbe un grave errore considerare le Chiese indipendenti africane in un contesto culturale a-storico o, nel migliore dei casi, come la manifestazione di una spiritualità magari ?autentica?, che si limita però a sopravvivere stancamente
nel tempo.
Di Giulio Albanese
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