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Arrivano i ‘profughi della medicina’
Nel 2012 si prevedono 2 miliardi di dollari di spese da parte di pazienti occidentali verso gli ospedali low cost di New Delhi, di Francesca Lancini
di Redazione
Farmacia dei Paesi poveri, ma anche quarta industria farmaceutica del pianeta. Basti pensare che le vendite aggregate di medicinali delle prime cinque aziende indiane, nel 2005, ha superato i 3,5 miliardi di euro… Un colosso, quello di New Delhi, che cresce con una strategia senza precedenti: produrre generici a basso costo.
La nascita di un?industria così attiva è stata possibile perché l?India, dal 1972 al 2005, non ha riconosciuto i brevetti sui medicinali. Ciò ha consentito la produzione di generici di alta qualità, ma a costi di un ventesimo inferiori rispetto a quelli delle multinazionali. Poi, nel 2005 qualcosa è cambiato. Il Wto ha imposto di varare una legge sui brevetti anche all?India, che è riuscita però a ottenere una soluzione di compromesso in base alla quale sono brevettabili solo i farmaci realmente innovativi e non quelli lievemente modificati. Oggi, con il caso Novartis, la situazione potrebbe cambiare ulteriormente: la multinazionale svizzera ha impugnato proprio gli articoli di legge che limitano la concessione dei brevetti ai soli prodotti veramente innovativi, chiamando in causa il governo indiano. Il processo inizia il 15 febbraio.
Dal 1935, quando il primo laboratorio farmaceutico è stato aperto dalla Cipla a Bangalore, l?industria farmaceutica indiana ha fatto passi titanici. Negli anni 30, la famiglia Hamied, fondatrice di Cipla, lavorava per un?India autosufficiente e attenta al suo sviluppo sociale. Poi nel 47 è arrivata l?indipendenza, ma tutta la produzione era ancora sotto brevetto britannico e i medicinali erano costosi. La svolta c?è stata nel 1972, quando il primo ministro Indira Gandhi varò una legge per la cancellazione dei brevetti sui prodotti farmaceutici. Oggi fra le aziende più importanti troviamo, oltre a Cipla che vende 550 milioni di euro di farmaci l?anno, un?altra antesignana, la Ranbaxy (950 milioni di euro di vendite nel 2005), e compagnie più recenti come Dr Reddy?s Laboratoires (la più grande, con 1,1 miliardi di euro di vendite nel 2006), Sun, Nicholas Piramal India, Aurobindo e Natco.
La composizione del mercato farmaceutico indiano è mista, con il 57% di prodotti confezionati, il 15% di farmaci non confezionati e il 28% di prodotti destinati alle esportazioni. L?India, tuttavia, non vende solo ai Paesi poveri. Gli Usa, in termini di valore assoluto dei farmaci, sono il primo importatore. Negli ultimi anni, inoltre, si è diffuso un fenomeno chiamato ?turismo sanitario?, che spinge molti occidentali a recarsi negli ospedali indiani privati, meno costosi, per cure essenziali. «Ciò crea una grande contraddizione», commenta <b>Sunil Deepak</b>, medico indiano dell?ong Aifo. «Nelle nostre grandi città da una parte ci sono gli ospedali privati frequentati da occidentali, dall?altra quelli governativi con servizi e strutture assai carenti, destinati ai locali che non possono permettersi altro».
E il trend dei ?profughi della medicina?, come li chiama il <i>New England Journal of Medicine</i>, sembra destinato ad aumentare: secondo uno studio condotto da McKinsey e dalla Confederation of Indian Industry, nel 2012 gli stranieri spenderanno 2 miliardi di dollari per i servizi sanitari indiani. Ma altre cifre fanno grande il business farmaceutico indiano: in Germania Dr Reddy ha concluso un affare da 500 milioni di euro con Betapharm, mentre Ranbaxy sta per fare un?offerta sui generici della Merck Kgaa, valutati 4 miliardi di euro.
Medici senza Frontiere e Oxfam, intanto, lanciano un appello affinché con le leggi sui brevetti non si chiuda la principale farmacia per i Paesi del Sud del mondo, che non hanno industrie e non possono permettersi i prezzi dell?Occidente. È prodotto in India, ad esempio, oltre il 50% delle terapie contro l?Aids usate da 1,6 milioni di poveri.
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