Non profit

La csr entra nell’agenda della Commissione

La responsabilità sociale viene definita un motore della crescita e della coesione dell’Europa allargata. Di Silvia Scopelliti

di Redazione

La responsabilità sociale delle imprese entra nell?agenda della Commissione europea. La comunicazione diffusa il 22 marzo riconosce alla csr un ruolo essenziale per la crescita e la coesione dell?Europa allargata, e raccoglie la lezione del Forum multistakeholder. Il rapporto conclusivo del giugno 2004 sanciva infatti l?accordo su alcuni concetti fondamentali, primo tra tutti la volontarietà della csr e la necessità del dialogo. Il compromesso riguardava anche altri punti importanti, come la formazione, l?equità, l?importanza delle piccole e medie imprese.

La Commissione riprende questi concetti e li lega alle politiche comunitarie, soprattutto a quella di crescita e occupazione, all?agenda per lo sviluppo sostenibile e alla politica sulla deregulation del commissario all?industria, Verheugen. La csr, si legge nel documento, «non è una panacea», né – aggiungiamo noi – smarca governi e istituzioni dalle proprie responsabilità. Eppure ha una importanza fondamentale in ambiti come l?innovazione, la sicurezza e la protezione dell?ambiente, l?inclusione sociale. Resta centrale, dunque, il ruolo delle imprese come «motore di sviluppo e occupazione», ma il richiamo a riconoscere la legittimità degli stakeholders, sindacati e società civile in testa, e a rafforzarne il ruolo, è forte. La Commissione, insomma, traccia un percorso chiaro: meno dibattiti e più cooperazione, meno aule e più territorio. E dà l?esempio.

Presente anche il tema della dimensione internazionale dello sviluppo. La Commissione si sofferma su diritti umani e sostenibilità dello sviluppo nei paesi del terzo mondo, dove si dice disponibile a finanziare progetti di csr. Due gli impegni: portare la csr al summit Ue-Africa in autunno, e seguire gli sviluppi dell?attività dell?Onu su diritti umani e imprese multinazionali.

Resta, tuttavia, un?ombra. Questa Unione che intende fare dell?Europa un «polo di eccellenza sulla csr» rinuncia ad affrontare la madre di tutte le questioni, il problema cioè degli effetti della globalizzazione. Il richiamo alle imprese affinché rispettino i «valori dell?Unione e le norme e standard internazionalmente riconosciuti» è assolutamente generico. Questa scelta di mantenere lo sguardo sulle cose di casa, rivela una debolezza: i paesi dell?Unione sono oggi più preoccupati degli effetti interni che la globalizzazione produce che non viceversa. E tradisce un senso di incertezza e sfiducia. Agitazioni e proteste, non solo francesi, stanno dimostrando che il modello della vecchia Europa è imploso, e rendono tutto questo ancora più grottesco perché pongono un problema ulteriore: anche sindacati e associazioni, incapaci ad oggi di intercettare e governare questo cambiamento, devono ripensare la propria responsabilità sociale. Eppure, al documento va riconosciuta una valenza positiva: l?invito a passare dalle parole ai fatti e l?aver legato la csr all?agenda comunitaria, rappresenta un buon compromesso tra imprese, istituzioni e società civile. Forse, il migliore possibile oggi.

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