Mondo

A Srebrenica la vita unisce, la memoria no

Così la città-simbolo del feroce conflitto balcanico intende voltare pagina

di Redazione

E’ una bella giornata. Il caldo è soffocante. A decine di migliaia arrivano da tutte le parti della Bosnia. Pullman, auto, a piedi dai paesi e villaggi vicini, tutti desiderano essere presenti. è la storia di Srebrenica, piccola cittadina bosniaca isolata da tutto e da tutti almeno per 11 mesi l?anno.

L?11 luglio 2006, fiumi di persone si sono riversati all?interno del luogo più significativo della città. Il Memorijalni Centar di Potocari (frazione di Srebrenica) è stato inaugurato appena tre anni fa. È stato pensato per restituire una degna sepoltura a più di 8mila uomini bosniaco musulmani, abitanti della città che nel luglio del 1995 cadde nelle mani delle milizie serbe del generale Ratko Mladic. A nulla servì la risoluzione delle Nazioni Unite che dichiarò Srebrenica zona protetta; a nulla servirono i cento caschi blu olandesi che avevano il compito di difendere l?enclave.

All?interno uno spazio immenso, dove i parenti, scampati alla tragedia, scavano fosse e rimangono in attesa. Vanghe, cumuli di terra, lapidi di legno verde e molte donne in lacrime. Dal lato opposto dell?area del Memorijalni Centar, disposte in modo ordinatissimo, una distesa di 505 bare rivestite di verde.

In mezzo si trova la Mussalah, una moschea aperta. Le preghiere, oggi, sono pronunciate dalle più alte cariche islamiche della Bosnia Erzegovina. La folla è disordinata. Gli altoparlanti alternano musiche e inni, Sure coraniche e discorsi. Si celebra l?undicesimo anniversario del più grave genocidio in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si celebra uno dei più grandi funerali della storia. Tra le autorità presenti prende parte alla commemorazione anche Carla Del Ponte, general prosecutor del Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia.

In una piccola cerimonia collaterale si fa notare un gruppo di persone che, inneggiando a Naser Oric, issa una bandiera e scopre un piccolo monumento. Oric, bosniaco musulmano, era accusato, fino a qualche giorno fa, di torture, uccisioni e gravi atrocità commesse a danno di civili serbi nei villaggi attorno Srebrenica. Il Tribunale dell?Aja sembra avergli riservato un trattamento fin troppo benevolo. Condannato a due anni di detenzione (già scontati nell?attesa del giudizio), Oric è tornato in Bosnia qualche giorno fa. Oggi viene celebrato come un eroe e sono molti i ragazzi che indossano una maglietta con il suo volto.

Il Mufti procede alla lettura della preghiera principale. Prima in arabo, poi in lingua bosniaca e, infine, in inglese. Dopo la preghiera inizia la lenta lettura dell?elenco dei nomi dei defunti. Interminabile. Incontro l?Imam di Potocari, giovane amico. Il religioso mi riporta per un attimo alla normalità della vita complimentandosi per i gol che l?Italia ha fatto alla Francia nella finale della Coppa del mondo. Lui ha già imparato che la vita è fatta di molte cose allo stesso tempo: c?è la finale dei mondiali e c?è il funerale di 505 uomini di Srebrenica.

Le bare vengono trasportate dai familiari fino alle fosse scavate al mattino per trovare, finalmente, almeno nel riposo eterno, la pace. Così si compie il rito della memoria. La cerimonia finisce e un fiume di persone si riversa per strada. Al Memorijalni Centar restano le tombe e tantissimi rifiuti. Tanti, come dopo i mercati.

La Memoria dei musulmani di Bosnia è stata tutelata. Ma non è una memoria condivisa. Essa cede, infatti, il passo al sentimento collettivo dei serbi di Bosnia che, proprio il giorno successivo, 12 luglio, giorno di san Pietro, ricordano uno dei più gravi massacri attribuiti a Naser Oric e tutte le vittime cadute per mano bosniaco musulmana.

La chiesa ortodossa, al mattino, si riempie lentamente di fedeli. Di fronte, uno striscione chiede al popolo serbo l?ennesima prova di fedeltà ai propri politici: si raccolgono le firme per il referendum per l?indipendenza della Republika Serba dalla Bosnia Erzegovina (la Rep. Serba è oggi una delle due entità della Bosnia Erzegovina insieme alla Federazione). Ci sono pochi giovani. Qui si celebrano, in una commistione pericolosa tra fede, politica e criminalità, altri eroi: le magliette hanno il volto di Ratko Mladic. A lui è attribuita la responsabilità del genocidio a danno dei bosniaco musulmani: è, ancora oggi, ricercato dal tribunale dell?Aja. Da tempo si sono perse le sue tracce. Nell?arco della mattinata trovano voce le più alte cariche politiche della Rep. Serba e i responsabili delle associazioni degli ex combattenti. Non ci sono associazioni delle vittime.

La sera passeggio per la città. Incontro un?amica alla quale non riesco a nascondere il disagio e le contraddizioni vissute in questi giorni. Non esiste una memoria condivisa. Non potrà esistere fino a quando non ci sarà una verità condivisa. Ma sempre di più, parlando e confrontandomi con gli amici che vivono a Srebrenica, ho l?impressione che dopo una guerra non possa esistere più una sola verità. Ne esistono tante. Tutte drammaticamente incompatibili tra loro, ma tutte assolutamente vere. La mia amica, per confortarmi, dice di non preoccuparmi: da domani saranno finiti i giorni della memoria e tutto, per fortuna, tornerà normale.

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