Welfare
Gozzini, l’uomo che portò la legge in galera
Carcere/ Vent'anni fa la storica norma penitenziaria. La genesi di quel provvedimento, poi approvato all'unanimità, fu un'esperienza straordinaria
di Redazione
Scarabocchi, rimandi, correzioni. E ancora. Pareri, precisazioni, sottolineature. Sono tante le calligrafie che si inseguono sulle bozze della legge 663/986, passata alla storia come legge Gozzini. Francesco Maisto, sostituto procuratore generale a Milano, amico di lunga data del senatore scomparso nel 1999, ancora oggi si passa fra le mani con venerazione questi fogli che custodisce gelosamente nel suo archivio personale. Sono trascorsi 20 anni dal 25 ottobre 1986, quando nel nostro ordinamento penitenziario entrò in vigore quella legge. Fu una rivoluzione. Dal punto di vista culturale più ancora che sul versante legislativo.
Il metodo del dialogo
Il quattro volte senatore della Sinistra indipendente, Mario Gozzini, che pure fu infaticabile tessitore di altre due provvedimenti storici, le leggi sull?aborto e sull?affidamento e l?adozione dei minori, cresciuto nel vivaio fiorentino di Ernesto Balducci e della rivista Testimonianze, inaugurò uno metodo efficace e vincente: il metodo del dialogo. Una strategia che gli permise di concentrare intorno ad una legge così difficile, poi approvata all?unanimità, un consenso, si direbbe oggi, bipartisan. Uomo di soglia. Lo definisce così Maisto, la cui frequentazione con Gozzini nacque proprio durante la genesi della legge. «Era uno che confondeva i punti di vista, aperto al diverso e alla contaminazione », racconta. Abituato a misurare le parole come si addice a un buon correttore di bozze, tre anni dopo la sua laurea in Lettere, nel 1945 Gozzini incominciò una lunga collaborazione con la casa editrice Vallecchi, dove dirigeva la collana «I nuovi padri: saggi sul cristianesimo del nostro tempo». Prima di diventare senatore, per anni insegnò storia e filosofia negli istituti superiori di Firenze. «Quando arrivò in Parlamento, malgrado fosse un letterato scelse di andare in commissione Giustizia, convinto che i cittadini dovessero amare la legalità. E che questa legalità dovesse essere alla portata di tutti», ricorda Maisto. Alla portata anche dei detenuti. «Aveva introiettato il pontificato giovanneo. Oggi fa sorridere, ma in lui la distinzione fra errore ed errante era vitale». La sua legge introdusse la detenzione domiciliare, i permessi premio, allargò i confini dell?affidamento ai servizi sociali e nel contempo istituì il carcere duro del 41 bis per gli esponenti della criminalità organizzata. «Su questo punto manifestai la mia contrarietà», rivela l?amico magistrato, «poi Gozzini mi convinse: meglio un doppio binario piuttosto che il far west dei braccetti speciali dove, al di fuori di ogni legge, succedeva di tutto». Fedele al monito biblico di Isaia, «astieniti dal fare il bene quando non sei certo che superi il male», Gozzini, convintamente contrario all?ergastolo, non inserì nella sua proposta l?abolizione della pena perpetua: avrebbe messo a repentaglio l?intera architettura del progetto, la politica non era ancora in grado di digerire una proposta di quella portata. Durò una decina d?anni il suo peregrinare nei penitenziari italiani. Prima di metterci mano, voleva vedere in prima persona. Un ping pong continuo fra San Vittore, Firenze – qui viveva l?amico Alessandro Margara – e Roma. A Milano però aveva il suo avamposto. Intorno al centro culturale della Corsia dei Servi di via Tadino, a due passi dalla Stazione Centrale, in quegli anni si stava costituendo un gruppo di intellettuali interessati alla questione penale. Ne facevano parte, fra gli altri, oltre a Maisto, padre David Maria Turoldo, Mario Cuminetti, animatore del circolo, il pedagogista Marcello Bernardi, il sindacalista cislino Sandro Antoniazzi e la giornalista Rossana Rossanda.
Universitari su di giri
Al di là dei codici «quello che conta è che cambiò l?humus culturale che circondava il carcere», spiega Maisto, che ancora ricorda la passione con cui a quei tempi gli studenti universitari affollavano le lezioni di diritto penitenziario, ma anche il grado di responsabilità e partecipazione da parte della magistratura di sorveglianza. Il cambio di marcia più evidente fu però quello che riguarda la politica. «Per la prima volta, nel 1986, un parlamentare entrava in carcere e diceva ai detenuti: ?Vi do queste misure, adesso ve le dovete meritare?». Insomma, «era un invito a rimettere la schiena dritta, a riprendersi in mano la loro vita». I detenuti da quel giorno erano diventati persone con diritti e doveri.
Per scaricare il testo integrale della legge:
www.agesol.it/documenti